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l’Eccellenza del vostro principe vi tenne apresso la Maestá di Cesare in Ispagna. A me piacciono i filosofi signorili e pieni di nobili maniere, come séte voi e qual era l’otlimo Gianiacopo Bardellone en on simili agli scalzacani, massimamente avendosi il modo di rafazzonar la persona. Or io mi vi raccomando con riverenza di minor fratello.

Di Venezia, il 26 di novembre 1537.

CCLVII

A POMPONIO

, MONSIGNORI NO Lo esorta scherzosamente a tornare a Venezia, per riprendere gli studi. Il vostro padre Tiziano m’ ha dati i saluti che mi mandate, e mi son garbati poco meno che due galli salvatichi, ch’io donai a me stesso, sendomi commesso da lui che in suo nome facessi presentargli a un signore. E, perché vediate la liberalitá mia, ve ne restituisco «mille millanta, che tutta notte canta», disse colui; pregandovi che diate i piú magri al vostro bel fratellino Orazio, poiché s’è scordato farmi dire come gli sta la fantasia circa lo spendere, tosto che possa, questo mondo e l’altro, bastando a chi guadagna la robba il risparagno di voi, che, per esser prete, è da credere che non abbiate a uscir de l’ordine di Melchisedecche. Pur sanitá, ché sará quel ch’io vi dico e peggio. Ora egli è tempo di ritornare agli studi, perché la villa, secondo nie, non tiene scola: dapoi la cittá è la pellicia del verno. Si che venite via, ché nel far, coi tredici anni ch’avete, parecchie niarende de l’ebraico, del greco e del latino, voglio che facciamo disperare tutti i dottori del nappamondo, come fanno arabbiare tutti i dipintori d’Italia le belle cose che fa messer pare. Non altro. State caldo e con buono appetito.

Di Venezia, il 26 di novembre 1537.