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CCXXXVI

AL BAFFO

Lo prega di venire a Venezia per coniare in argento e in rame le medaglie aretinesche fuse da Leone d’Arezzo. Caro mcsser Battista, tornate tosto da Padova, se volete acquetar la volontá, che mi stimola circa il coniare in ariento e in rame parecchie di quelle mie teste, che in acciaio con si viva e con si bella pratica ritrasse Lione, la cui partenza per Camerino è cagione ch’io vi elegga a cotal fatica. Io ho visto i vostri sonetti, e vi giuro che non fu mai maestro di zecca né orefice miglior poeta di voi. Certo ch’io conosco di quegli che se la tiron ben bene, i quali non ci arivano a mille miglia. Si che toccate pur via il cavai pegaseo, ché Io farete trottare, s’egli crepasse. E, quando sia che Apollo non vi lasci córre tanti lauri e tanti mirti che ve ne facciate una coroncina, lo faremo parere una bestia. Si che venite pure.

Di Venezia, il 16 di novembre 1537.

CCXXXVII

AL SIGNOR GIOVANNI DANZI

Gode che l’amico non si rechi piú alla Mirandola. Io credeva che voi andaste via, col mio capitano Gianfrancesco, da Taranto; ma intendo di no: il che mi piace, si per non vi perdere cosi tosto, si per parermi la Mirandola la noce di Benevento, ridotto degli stregoni. Può fare Iddio che la masnada di tutti quegli, che vogliono sbudellare il mondo, dia di petto lá? Vadasi a riporre Montalbano, da che ella si è trasformata nel cerchio, nel quale Malagigi citava tutta la ciurma di Sattanasso: perciò le masse e le cataste de le genti si fanno ivi. Il tremendo e venerando papa Giulio ebbe spirto profetico, e, per antivedere i suoi futuri andamenti, voleva pure ispianarla;