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per la via dei costumi civili e de le vertè mercantili. E di ciò è cagione la dolcissima asprezza del suo zio, da le rigide parole del quale si ritránno effetti tenerissimi, come ne fará fede la poca esperienza e l’etá giovane, che, lasciatasi metter suso, gli avevano alterata di si mala maniera la discrezion fanciullesca, che inverso la mia parente e del marito prevaricava l’ordine d’ogni debito dovere. Ma la sua bontá, ravedutasi per opra de la mia riprensione, rimesso tutto l’errore in se stesso e chiestone perdono, si è fatto molto sollecito nel ben fare. Giá appare in lui la cura de le cose; giá la modestia gli insegna dei suoi atti, e giá dimostra la gentilezza, di chesi ornano le nobili persone. Onde, cosi facendo, madonna Tita e messer Tarlato con Girolamo e con lui faranno l’amor comune; benché sempre ne sono stati amorevoli, c a me pare che fra l’uno e l’altro si faccia differenza solamente nel nome. Si che rallegratevene, con ringraziar Iddio e loro, perché noi siamo obligati a chi ci dá principio, peroché i principi sono i fiori de le nostre operazioni, e senza essi i mezzi e i fini non posson far frutto. E buon per quegli che s’imbattono in colui che gli ricoglie con paterna caritá! Ed è una felicitade l’andarsene a procacciar la sorte sua fuor di casa. E chi noi crede, specchisi in me, che son qualcosa; che, altrimenti, sarei niente.

Di Venezia, il io di novembre 1537.

CCXXVIII

AL DUCA D

’ATRI Ha scritta la lett. cxcvi al re Francesco per semplice debito di cristiano e di suddito veneziano. Ma, se avesse preveduto di dar dispiacere al duca d’Atri, ne avrebbe fatto di meno. Il duca lo punisca, non ricordando al Montmorency la promessa d’una pensione físsa. Un non so chi dei vostri uomini m’ha referito, signore, come la lettra scritta in Francia vi è rincresciuta molto: cosa che mi reca dispiacere e maraviglia. Spiacemi per il disturbo che v’ho dato con essa, e maravigliomene per non aver detta parola che