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CCXXIV

A LA SIGNORA VERONICA GAMBARA

Invia due sonetti a proposito dei ritratti del duca e della duchessa d’Urbino, eseguiti da Tiziano. Io, donna elegante, vi mando il sonetto, che voi m’avete chiesto, ch’io ho creato con la fantasia per cagione del pennello di Tiziano; perché, si come egli non poteva ritrar principe piú lodato, cosi io non doveva affaticar l’ingegno per ritratto meno onorato. Io, nel vederlo, chiamai in testimonio essa natura, e le feci confessare che l’arte s’era conversa in lei propria. E di ciò fa credenza ogni sua ruga, ogni suo pelo, ogni suo segno; e i colori, che l’han dipinto, non pur dimostrano l’ardir de la carne, ma scoprono la virilitá de l’animo. E nel lucido de l’armi, che egli ha indosso, si specchia il vermeglio del velluto, arláttogli dietro per ornamento. Come fan ben l’effetto i pennacchi de la celala, apparsi vivamente con le lor reflessioni net forbito de la corazza di cotanto duce! Fino a le verghe dei suoi generalati son naturali, massimamente quella di ventura, non per altro cosi fiorita che per fede de la sua gloria, che cominciò a spargere i raggi di vertú ne la guerra che fece avilire Leone. Chi non diria che i bastoni, che gli die’ in mano la Chiesa, Vinegia e Fiorenza, non fusser d’ariento? Quanto odio che dee portar la Morte al sacro spirito, che rende vive le genti che ella uccide! Ben lo conobbe la Maestá di Cesare, quando in Bologna, vedutasi viva ne la pittura, se ne maravigliò piú che de le vittorie e dei trionfi, per cui può sempre andarsene al cielo. Or leggetelo con un altro apresso: poi risolvetevi di commendare la volontá ch’io ho di celebrar il duca e la duchessa d’Urbino, e non di lodar lo stile di cosi debili versi.

Di Venezia, il 7 di novembre 1537.