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s senza licenzia de le Grazie, che esseguiscono tutte l’operazioni de la vertii, de la gentilezza e de la cortesia che vi adorna. Esce poi da la soavitá dei vostri costumi una cotal modestia, che insegna a temprar l’insolenza, in cui pone l’alterezza de la nobiltá e de la fortuna. Ed è si nuova la dolcezza de le maniere con le quali concordate ciò che dite e ciò che fate, che rintenerisce gli animi altrui di modo, che è forza a desiderare di onorarvi e d’ubbidirvi, come desidero io, che, preso da l’affabilitá de la creanza vostra, mi godo d’odorare i fiori, di che piú d’altro è vaga la gioventú, che vi recrea con la freschezza dei suoi anni piú cari. Ma qual voi séte, tal nasceste, e da le fasce se ne porta l’uomo la maggior parte di quel che egli è. E simiglio ciò, che ci agiugne lo studio de l’arte, a la vernice con che i pittori velano le figure de le lor tavole e al beletto che fa rosseggiar le guance di colei che pur vorrebbe esser bella.

Di Venezia, il 6 di novembre 1537.

CCXXII

A MESSER ANTONIO BRUCCIOLI

Non curi le maligne critiche dei frati ignoranti, che della parola di Diohanno fatto un vivaio di insulse, anzi dannose questioni. A che fine, compare, darvi fastidio del chiacchiarar dei frati, essendo proprio de la lor natura l’odiare chi sa che essi non sanno se non abbaiare e mordere? Voi séte pur chiaro che l’amor non è senza gelosia né la gloria senza invidia. Io non nego che in questo e in quel convento non ci sieno padri degni di laude e di grado, anzi confesso di conoscerne dei mirabili; ma, tolti via i veramente buoni, o Cristo, tu lei vedi chi si veste degli abiti intitolati a l’ordine dei tuoi santi. A pena la loro arroganza sente l’odore de l’opere e de le dottrine altrui, che, vergognandosi che altri faccia quel che essi per professione e per sacramento sono obligati di fare, tentano di vendicare la naturale ignoranzia, col tassare la vita, il nome e i libri