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A MESSER GIROLAMO SARRA

Delle varie specie d’insalata. Tosto, fratello, che i tributi de l’insalatucce mi cominciarono a venir meno, recandomi io con la fantasia in sul fatto de l’indovinare, sono andato astrologando la cagione del vostro ritenermi le paghe del cibo a l’appetito del gusto. Ma, s’io avessi premuto i pensieri al torcitoio che trae l’olio de l’olive, non averei cavato mai che da voi mi fusse tolta cotal provigione per conto de la cetronella, la qual diletta a la vostra gola tanto quanto dispiace a la mia. Dice poi l’uomo: — Di donde vengono le nimicizic? — Elle vengono fin da due fila di quella erba, che voi non vi potete tener di mandarmi, né io di gittar via. Che diavolo si farebbe a un di quegli che non beon vino né mangian melloni, quando a un buon compagno si levano le sue regaglie a pelizion di monna Ranciata, la cui boria si fa vedere per tutti gli orti? Certo che ella vi dee aver servito a qualche malia e postovi in braccio o fata o sibilla, da che pigliate quistion per lei. Orsú! io voglio avezzarmi a manicarne, e spero farlo, poiché mi sono assuefatto a star senza un quatrino, che altro è che aprir la bocca e mandar giuso una frascaria. Io me ci usarò certo. Si che ritornate a rimandarmi il censo impostovi da la vostra cortesia, acioché io goda dei frutti che vengono dai semi, che il marzo spargete ne la morbidezza del terreno per ispasso de le facchinarie mercantesche. Dimandatene il chiaro Fortunio, che piacere io ho, che lodi io do e che céra io fo ai presentucci de le mescolanze e al servidor che me le reca. Io guardo in che modo voi temprate l’acro di queste erbe col dolce di quelle. E non è poca dottrina il saper mitigar l’amaro e l’acuto d’alcune foglie col sapor, né amaro né acuto, d’alcune altre, facendo di tutte insieme un componimento si soave, che ne assaggiaria la sazietá. I fiori.