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i miei Cavorlini, che Iddio perdoni a la fortuna il torto fattogli da la sorte. Né mi tengo piccola ventura la cara e costumata vicinanza de la signora Iacopa. Insomma, s’io pasccssi cosi il tatto e gli altri sensi come pasco il viso, la stanza, ch’io laudo, mi saria un paradiso, peroch’io lo contento di tutti gli spassi che gli ponno dare i suoi obietti. Né mi si scordano i gran maestri forestieri e de la terra, che frequentano di passarmi d’intorno a l’uscio; né l’alterezza, che mi solleva al cielo ne l’andar giú e su del buccentoro; né de le regate, né de le feste, per cui de continuo trionfa il Canale, signoreggiato da la mia vista. E dove si rimangono i lumi, che dopo la sera paiono stelle sparse, u’ si vende la robba necessaria ai nostri desinari e a le nostre cene? dove le musiche, che la notte poi mi grattano Porecchie con la concordia de le lor consonanze? Prima si esprimerebbe il giudizio profondo che voi avete ne le lettre e nel governo publico, ch’io potessi venire al fine dei diletti ch’io provo ne le commoditá del vedere. E perciò, se qualche spirto ne le ciance da me scritte respira con fiato d’ingegno, vien dal favore che mi fanno, non l’aura, non l’ombre, non le viole e non il verde, ma le grazie, ch’io ricevo da la felicitá ariosa di questa vostra magione, ne la qual consenta Iddio ch’io annoveri con sanitá e vigore gli anni che doverebbe vivere un uomo da bene.

Di Venezia, il 27 di ottobre 1537.

CCXV

AL TRIBOLO SCULTORE

Lo ringrazia del Cristo deposto dalla croce, che egli prepara per lui, e del quale Sebastiano Serbo ha giá detto grandissimo bene. Ma che cosa stupenda è il San Pietro Martire di Tiziano! Messer Sebastiano architettore, con piacere del molto diletto e del mediocre giudizio ch’io ho de la scultura, m’ha fatto vedere con le parole in che modo le pieghe facili ornano il