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influssi nostri ci faccino un mal viso. E perciò è divina la prudenza di quegli, che, cedendo a chi ci fa cedere per amore e per forza, ubbidiscono ai superni voleri, non si ostinando come coloro che contrastano con l’impcradore, la cui Maestá si riduce sempre ne la strettezza dei miracoli, e, mentre pare abbattuta, scoppiano i gridi de le sue vittorie, onde non ci è via dove possa fermare il piede lo scampo di chi la provoca. Or io, che per l’antichitá de la servitú partecipo de le felicitadi ne le quali allargate di giorno in giorno l’animo e lo Stato, mi rallegro, non de le miserie d’altri (ché sono uomo e non fèra), ma degli onori e de le prosperitá, di che siete diventata materia. E ho indugiato fino a qui a farlo, per dar luogo a la consolazione de la vostra giustizia e de la vostra clemenza, pregando Iddio che faccia tenera la durezza dei cori e dolce l’asprezza de le menti, per la qual cosa la concordia abbracci ognuno con pari volontá. Intanto il tòsco de l’inganno e il ferro del tradimento stará discosto da voi, perché né quello né questo ha potestá sopra la legittima signoria de la Sua e de la Vostra Eccellenza.

Di Venezia, il di de la Nostra Donna di settembre 1537. CI.XXXVl A MESSER LUIGI ALAMANNI Accusa entusiasticamente ricezione d’una lettera. Quanta compassione ho io avuta, signore, a la miseria de la mia sorte, quando da questo e da quello aventurato mi si mostrava qualche lor gioia, e il non poter io far vedere ad altri se non fastidio, m’ha sempre diseparato da la conversazione dei piú contenti. Ma la lettra, che la Signoria Vostra si è degnata mandarmi, muta l’ordine del mio dispiacere, perché, potendo io spiegare il foglio del mio signor Luigi, non conosco gemma di piú stima. E vi so dire che non bisogna invitar niuno a leggerlo, perché la fama, sparsa fra tutti d’averlo io, move ciascuno