Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/229

che presenza e di quai costumi sia il genero. Ho anco allegrezza che siate lodata d’aver tolto cotal marito, per consiglio di voi medesima. Ecco che ognuno ha veduto con che abiti vada vestita cosi fatta coppia, onde si manifesta la vertú del vostro meritare la mia splendidezza. Ora voi verrete, se giá le Gambarare non vi paiano di piú reputazione che questa cittá, e la Brenta di piú giocondo aspetto che il Canal grande. Secondo me, in contado si dee stare una settimana e non piú; peroché in si breve tempo l’aperto de l’aria, il salvatico del luogo e la rustichezza de le persone, con le novitá loro, pascono altri con grata conversazione. Nel passar poi del termine detto, la ruvidezza del sito, con la stranezza dei suoi abitatori, converte ogni solazzo in noia; per la qual cosa è forza ridursi a le commoditá e a le civilitá. Perciò vi spetto, parendomi esser, con cinque bocche meno, nel travaglio che è un cardinale, quando ne vede una piú. Parmi anco, quando non vi veggo a tavola con esso meco, un augurio di miseria. Talché io confesso che il vedersi manicar Possa è il trionfo d’una generosa natura e non d’una suntuosa boria. Oltra questo, la costumata piacevolezza vostra, figliuola mia, è soave notrimento degli anni, che cominciano a non mi lasciar vivere. La prudente onestá, di che sete ordinata, è P intertinimento dei fastidi che mi fanno provare i cento scudi il mese, che pure, Iddio grazia, mangiamo, doniamo e spendiamo, con sopportazioni di chi odia me, che non vo’ male a veruno.

Di Venezia, il 30 di agosto 1537.

CLXXXII

A LA SIGNORA VERONICA GAMBARA

Raccomanda Antonio Bernieri. Non crediate che la venuta di messer Battista Strozzo con il recarmi saluti e raccomandazioni da parte vostra, come io so che mi reca, abbia ramentato a me l’esser mio debito di