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Clemente, dominatore di tre papati, la fermezza de la vostra fede, sotto il peso di venticinque anni di servitú sia invecchiata indarno, rallegratevene, perché non saria possibile di produrre testimonio, che meglio chiarisse ognuno de la somma bontá vostra. E io, per me, non pur mi vanto d’esser buono, per aver sempre avuto nulla da due pontefici, ma mi esalto con titolo di perfetto, perché le prelature si danno ai plebei e ai pessimi, e non ai signori e ai giusti simili a voi. Impari a dar veleni, a tradire, a cianciare, a tracannare, a roffianare, adulando ognora, chi non vòle, dopo il consumar de la gioventú spogliando e vestendo un papa, ritornarsi mendico a casa. Ché si doverebbe vergognare la memoria di Sua Santitá, poiché non se ne vergognò la vita, di non avervi fatto almen vescovo de la patria, non solo decano dei suoi camarieri, sendo voi la gentilezza, la nobiltá e la pazienza del mondo; dando poi le comende e le badie agli uomini vituperosi, in cui non fu né mai sará costume o religione. Ma chi è piú felice di me, poiché ho potuto e saputo publicare la natura de la natura pretesca, a onta de la quale il mondo mi onora con i tributi? Ponete il core in pace, dolce e caro fratello, e di quello assai che tenete, benché poco a j’animo e al merito vostro, godetevi in Arezzo. E sieno a voi i cittadini, fra i quali nasceste, i gran personaggi che vi solevano intertenere a Roma. E rallegratevi e mangiate e datevi piacere con loro, ché son piú sicure pratiche, e senza fraude vi mostrano l’animo ne la lingua. Eccovi il nostro Francesco Bacci con la mente ne la fronte; ecco tanti altri grati compagni: ringiovenite in lor compagnia, né vi venga piú voglia di peregrinare fra le nazioni strane, ché ben sapete quanti crepacuori sono nel desiderio degli onori e dei gradi. E chi non more ne l’aversi a inchinare a un cavalierino e a un troiano, è uno asino in carne umana; e chi non gli ha mai riveriti, è vincitore de la fortuna e può sedere a la destra dei beati. Si che vivete lieto, e di me fate ciò che n’avete potuto far sempre. E qui bascio la reverenda Signoria Vostra con tutta l’affezzione che a Quella porto. ‘ Di Venezia, il 22 di agosto 1537.