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Si che stativi in Lucca finché io vi consoli; e, caso che vi paia dannoso lo starvi ne la patria, avisatimi dove piú vi piace il fermarvi, ché farò ogni opera per acommodarvici. Io averei scritto a Fiorenza, se le cose, che occorrono, non fossero ranuvolate come sono; né si tosto si rischiararanno, che farò si che vi contentarete. E, quando sia che vogliate ritornar qui, quella porta, che vi fu sempre aperta a l’andare, vi sará il medesimo al tornare. Ma pensate ch’io son transformato in un altro. La casa nostra è piena di donne, di balie e di figlie. E vi parria strano di trovar serva degli ordeni la inregolata libertá che ci lasciaste. Oltra di ciò, bisogna che la gioventudine vostra sopporti la vecchiezza mia, la quale è per farsi ogni di piú schifa degli sfrenati andari. Giá in me vengono via i continui fastidi del tempo; onde la pace, ch’io cerco, mi doventaria guerra, facendo voi altrimenti. Io ho bisogno de la pazienza d’altri e non di sopportare altrui; e tal cosa giá si convenne a voi e a me, che ora a voi e a me si disdiria, perché io non son piú giovane né voi piú fanciullo. Ma, perch’io so che séte nobile e vertuoso, non dubito che non siate quello ch’io desidero, e, come tale, vi spetto e bascio.

Di Venezia, il 5 di agosto 1537.

CLXXIII

A MESSER ANTONIO GALLO

Si eserciti nella poesia, sforzandosi soprattutto di riuscire originale. k grato al duca di Camerino, che s’interessa dell’incisore Leone d’Arezzo Con quel buon volto, delicato giovane, che si pigliano e gustano i frutti primaticci, io presi e lessi le vostre parole, vaghe e saporite come i piú vaghi e saporiti pomi che si gustino. E non men piacere ho sentito del vostro scrivere che voi maraviglia del mio, secondo che mi dite; perché la dolcezza dei costumi, di che séte adorno ricchissimamente, è cagione ch’io vi ami molto di