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eredita, il Cardinal Piccoluomini succeda loro, non si tenga miracolo, ma dovere. Io a Fano, essendoci con il gran Giovanni dei Medici, predissi il simile del padre al signor Pierluigi, il qual mi giurò che, se Giesú gliene facesse mai grazia, che beato me; e mi credo essergli uscito di fantasia, perché chi è tale, anco di se stesso non si ramenta. Ora io, che son fatto tanto vostro che non mi pare aver piú parte in me stesso, doppo il ringraziarvi de la cortesia de l’avermi scritto, vi prego che non vi sdegniate che i miei servigi sien pronti in compiacervi, quando occasion gliene viene. E, caso che al valoroso arcivescovo di Siena, vostro fratello, scriviate, per esser voi tutto gentile e non perché io meriti tanto, me gli raccomandarete. Ma ecco, nel serrar del foglio, il mio caro e raro Varchi, il quale, vedendo il soprascritto suo, ritiene in sé la riprensione, che a posta veniva a farmi, credendosi, come ancor voi vi siete creduto, ch’io mi fussi dimenticato del mio debito in rispondere a la cortese Vostra Signoria.

Di Venezia, il 15 di luglio 1537.

CLXIX

A L

’IMBASCIADOR D’URBINO Al dolente che il duca non abbia voluto accettare nella sua zecca Leone d’Arezzo: pure si rassegna. Io aiuto, signor magnifico Gian Iacopo, gli amici quanto posso e osservo i padroni come io debbo: perciò restisi Lione senza la zecca, e io servidor di Sua Eccellenza. Dicovi bene che la sua vertú, posta innanzi al duca da la mia intercessione, riceve grandissimo torto. Dunque un che dipende da me, un vertuoso, un de la patria mia udirá lacerarmi, e non mel dirá? e, dicendomelo, io lo tacerò? Sappiate, protettore e benefattor mio, ch’io l’aveva dato ai servigi di si fatto principe, perché, sendo tristo, lo punisse ed, essendo buono, il remunerasse. Grande animo è quel d’un reo, che si arischia pur a guardar