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secretano, mi detta ciò che io compongo, e la patria mi scioglie i nodi de la lingua, quando si ragroppa ne la superstizione de le chiacchiere forestieri. Insomma ognun che imbratta carte può usar «cliente» e «scaltro» per agente e per paziente. Ma voi attenetivi pure ai nervi e lasciate le pelli ai pelacani, i quali si stanno lá mendicando un soldo di fama con ingegno di malandrino, e non di dotto, come séte voi. Ed è certo ch’io imito me stesso, perché la natura è una compagnona badiale che ci si sbraca, e l’arte una piattola che bisogna che si apicchi. Si che attendete a esser scultor di sensi e non miniator di vocaboli.

Di Venezia, il 25 di giugno 1537.

CLVIII

AL DUCA D

’URBINO Ringrazia del dono di 50 scudi, e allude alla dedica al Della Rovere del primo libro delle Lettere. Io, signore, ho detto piti volte che Tesser laudato dagli uomini lodati è il cibo con il qual la fama ristora Torecchie e l’anima di colui che è degno di cotal laude; e Tesser presentato dal principe, che sa usare la liberalitá donando solamente dove è il merito, è un chiarirsi de lo stato di se medesimo. Tre cortesie sono stampate per sempre nel mio core; quella de l’imperadore, quella de la duchessa e questa vostra. Certamente, io ho cominciato a tenermi vertuoso, poi che mi veggo aprezzar da tali. Non dona Carlo ai trastulli de la buffoneria, non porge Francesco Maria a la musica de l’adulazione, né Lionora soccorre la sciocchezza de l’ignoranza; ma, sendo la Maestá Sua e T Eccellenze Vostre persone di Dio, aiutate i vertuosi e i giusti. Perciò la speranza, ch’io tengo in voi, s’è tutta riavuta, non tanto per i cinquanta scudi, quanto per toccar con mano che pur vi è acetta la servitú mia. Ma come io so riconoscere il bene, l’opra intitolatavi ne fará fede, e, tosto che sará