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stupisco come è possibile che la mente sia in una continua tempesta e come ella non dimentichi se medesima ne l’essere sempre sempre combattuta dai pensieri, che gli fan seguitare la cosa amata, strascinandosi dietro il corc. E tutto sarebbe spasso, se ne le donne fusse qualche pochetto di conoscenza del meglio. A punto viola, esse, giocando a la ronfa amorosa, scartano ogni volta gli assi e i re. Ma si doveria sculpire in lettre d’oro ciò che disse un perugino. Egli cavò de l’amor d’una amica tanto mal francioso, che averebbe fatto disperare il legno d’india; onde se ne coperse dal capo ai piedi, purtroppo bestialmente. Ne avea ricamate le mani, smaltata la faccia, ingemmato il collo e coniata la gola, talché pareva composto di musaico. Ed, essendo cosi malconcio, ecco che lo guarda uno di quegli... voi mi intendete; e, doppo le meraviglie e i conforti, disse: — Fratello, ella si coglie al nascere, e bisogna che chi può, ce la mandi buona. Ma buon per te, se tu avessi imparato l’arte mia! — Volesse Cristo! — rispose egli, — ché si faria per questa pelle, ch’io ho abotita cento volte al nostro santo Arcolano; ma, perché non faria un piacere a Dio col pegno, sto come tu vedi. — E nel fin di cotal parabola mi raccomando a Vostra Signoria.

Di Venezia, il 24 di giugno 1537. CI.VII A MESSER NICOLÒ FRANCO (0 Il vero scrittore è c scultore di sensi», non giá

  • miniatore di vocaboli».

Andate pur per le vie che al vostro studio mostra la natura, se volete che gli scritti vostri faccino stupire le carte dove son notati, e ridetivi di coloro che rubano le paroline affamate, perché è gran differenzia dagli imitatori ai rubatori, che io so- (1) Iu A/ 3 questa lettera è diretta invece «A messer Lodovico Dolce •>.