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CLVI

AL CONTE DI SAN SECONDO

I peggiori tormenti sono quelli di amore. Andate adagio, signore, con il farmi piacere, ch’io non voglio che mi incalziate tanto con la loro abondanza, che, volendo far de l’uomo in sodisfarvigli e non potendo, vi paresse poi una bestia. A me è troppo che, scrivendo al signor Cosimo dei Medici per altre vostre faccende, me gli ricordiate, senza cosi caldamente, qual mi scrivete, mandare a Fiorenza a posta. Ma ogni altra cosa è ciancia, eccetto l’avere adosso quel diavolo d’Amore, che, non perdonando a la vecchiezza mia, è da credere che non perdoni anco a la gioventú vostra. Che crudeli notti, che fieri giorni si trapassano, bontá de le sue ribaldane! lo mi aveva scemato la metá di ciò ch’io mangiava per ismagrare (ché certo non il cibo, ma l’ozio di questa cittá m’ha ingrassato tanto, che ne vivo in continua rabbia); e non giovava. Occorsami la perdita di una giá mia donna e ora d’altri, io, per tal cagione, divenni come un di quegli che trafugano la vita di mano a la peste o a la fame, che sono simili a l’ombre di loro stessi. Veramente ch’io ho piú compassione a chi paté amando che a chi si muor di fame o a chi va a la giustizia a torto: perché il morirsi di fame procede da la dapocaggine, e Tesser giustiziato a torto nasce da la mala sorte; ma la crudeltá, che cade sopra uno innamorato, è uno assassinamento fattogli da la fede, da la sollecitudine e da la servitú de la bontá propria. Io mi son ritrovato e trovo e trovarò sempre, per la grazia di Dio e mia, senza danari, a perder padroni, amici c parenti, a esser in caso di morte, ad aver nimicizia, debiti a le spalle, e in mille altre rovine; e conchiudo che son zuccaro i fastidi predetti a comparazione del martello de la gelosia, de l’aspettare, de le bugie, degli inganni, con cui sei crocifisso di e notte. Il desinare ti si fa tòsco, la cena assenzio, il letto di sasso, l’amicizia odio, e sempre la fantasia è fitta in colei: onde