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di rileggere se a 15 di giugno o di luglio è la data, e poi pagatimi la pensione qual de l’uno dei due mesi mi si debbe. E mi vi oflero con tutto il potere.

Di Venezia, il 19 di giugno 1537.

CLIII

A MESSER SIMONE ZUCCARAIO

Loda la generositá di Pietro Zuccaraio. Un gran caso, figliuolo, è stato quello de la fortuna nel consentire che la bonaccia abbia rotto l’antenna de la vostra nave, facendola rimanere indietro, onde non è sommersa nel mare siciliano, come le ventittré, con le quali se ne veniva di brigata. Anzi non è maraviglia veruna, nonché miracolo, perché chi riguarda i beni, che escono da le mani de la semplice e pura caritá di messer Piero, padre a voi e al mio compare Paolo, giudicará che le sue facultá vengano guardate da Dio, perché egli sa che lunghissimi sono i giorni di quegli che odiano l’avarizia, violatrice d’ogni santo ufficio e rovina de la fede e de la bontade. Beato lui, che usa la ricchezza drittamente, non gli dando aministrazione sopra i vizi! Ma come può essere che uno uomo tale sia grandemente ricco e ottimamente buono? A quanti nobili, posti in miseria, soccorre senza richiesta il padre vostro? a quante donzelle procaccia marito, perché l’onore de la castitá non perisca? a quanti vertuosi cava la fame? quante vedove conserva nel voto loro? Ecco i monisteri, ecco gli spedali, ecco i conventi alimentati da la sua cortese religione, la cui sollecita pietade suda tuttavia nel servire a l’opere de la misericordia; onde ciascun confessa e veruno dissimula o dimentica il beneficio ricevuto da lui. E la povertá, che non ha paura dei pericoli, spaventa a la mensa, che sempre le tiene apparecchiata la vertu de la caritade, tanto propria sua, che ad altri non pon mente; perché ella sa che egli, che non ha debito la sua robba con la morte, non è un ciliegio né una vite