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A LA PRINCIPESSA DI MOLFETTA

Lodi ; accenni alle Stanze per la Serena ; suo proposito di non dir male delle donne Accioché Vostra Eccellenza non si creda ch’io sia qualche gran maestro, dei quali è proprio il non dir mai un vero, scrivo a Quella, come qui le promessi, facendola certa ch’io reputo mia felicitá il suo avermi conosciuto, si per la grandezza vostra, si per l’oppenione che di me sopra il fatto de le donne aveste. Io, che son piú loro che i preti e i frati del diavolo, l’ho sempre avute in reverenza, ma ho tenuto la cosa in me stesso, percioché ancor esse in se proprie hanno tenuto la cortesia. Ed era deliberato di non mi scoprire a laudarle fino a tanto che qualcuna non misi mostrava liberale. Ma poiérno piú le divinitá de la Sirena che le mie deliberazioni: onde fui costretto a cantarle nel modo che vi mostrai e, cantandole, a confessare il lor merito e la mia vertú; la quale ha còlto il frutto che ella desiderava, nel trare le cosi fatte stanze del casto e puro amore ch’io paternamente le portava. Ma io m’accorgo di non parlare al proposito, perché voi vi credevate eh’ io malmenassi le signore come i signori, ch’io malconciava, quando i grilli si fecer gabbia del mio capo con le mani de l’altrui avarizia, onde la gente cominciò a fulminarmi con i tributi. Certamente, la viltá, che sarebbe stata toccandole, m’ha tenuto la lingua e la penna; ché, se ciò non era, ancora elleno mi tributarebbero come i principi, perché avrei scoperto gli altari e di Napoli e di Milano e di Mantova e di Ferrara e di tutta Italia, trovando de le matte, de le arcisavie, de le mercatantesse, de le sibille, de le dotte, di quelle che fan miracoli, de le ladre e qualcuna de le prodighe circa l’onor del mondo. Oh che bel trionfo se ne farebbe! oh che bella istoria che se ne comporria! È pur gran cosa ch’io sappia i lor secreti, come io l’avessi confessate. E perciò doverien pensare a