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dubbio, perché la bontá vostra è sincera e rumor, che ini portate, candido. Onde la nuova speranza, in cui son posto mercé de la benignitá sua, va per i suoi piedi, e son per ritrarne il fine desiderato, purché seguitiate in farlo capace come io fui e in eterno sarò servo di Sua Maestá, de la quale ho fatto quelle prediche e quelle istorie che sanno tutte le mie voci e tutte le mie opere. Ma il non esser io uso a viver di sogni e il non essersi curato altri de l’esser mio, mi ha fatto, con gloria mia, di chi mi ha dato, stimato e procacciato. Tre anni indugiò la catena a venire, e quattro ne son passati che a me non è di costi venuto pur un saluto: onde mi sono acostato a chi dona senza promettere. Io parlo de l’imperadore, servo di Cristo e signor de la sorte. Ecco il Cardinal di Lorena, Iddio liberalitá, che, vedendomi nel core la figura del suo re, mi donò, e, perché i doni, che egli mi fece, non bastavano, mi assicurò con le speranze, le quali, risolvendosi nel fumé francese, mi disperarono l’afTezzion franciosa. Ma, quando sia che mi si provegga d’una onesta commoditá, riconoscerò il beneficio; e, se il gran maestro manterrá ciò che ha detto di farmi, essaltarò gli onori reali. E a qual persona potria giovare lo Alamanno, che piú gli giovasse di avergli giovato, di quel che farebbe giovando a me? Ma, senza altrimenti giovarmi, e de la Eccellenza del locotenente generale di Sua Maestá e de la Vostra e de la Signoria Sua son servidore.

Di Venezia, il 8 di giugno 1537.

CXLIV

A MESSER LUIGI ALAMANNI

Gli raccomanda l’affare, di cui nella precedente lettera. Io mi credeva che, avendomi Vostra Signoria vinto con la vertú, non volesse vincermi con la cortesia ancora; benché io mi vanto d’esser preda de Luna e de l’altra dote sua, perché l’ingegno, la nobiltá e la gentilezza han fatto di voi una composizione celeste, onde séte piú che famoso, piú che nobile e piú