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— Questi mancavano al numero infinito! — Gran cosa è il far vostro, con questo donarmi. Quanto è eh’ io ebbi le due vesti di seta, che vi spogliaste il di che ve le metteste? Quanto è che mi deste i veli d’oro e le ricchissime maniche e la bellissima cuffia? Quanto è che mi mandaste i dieci e dieci e otto scudi? Quanto è che mi faceste porre il tribbiano ne la cantina? Quanto è che mi accomodaste dei fazzoletti lavorati? Quanto è che mi poneste in dito la turchina? Sei mesi sono, anzi non pur quattro. Certo ch’io afiogarò nel diluvio de la vostra cortesia. Ma, per saper io che non cangiareste il vostro consorte con l’imperadore, non dico che è peccato che non siate moglie di Sua Maestá. Io credo che a voi e a lui paia accomulare assai, non accomulando niente; e perciò fate a gara nel dare fino a chi non vi chiede. Ma cosi voglion essere i signori e le signore, e a tutte le fortune mostrare una sorte medesima. Presso a dieci anni siete vissi qui con una spesa di maschi e di femine, e a Mestre con una di gente e di cavalli, che averebbe vóto il mar d’acqua, nonché le vostre borse di danari. Ma è pur vero che Iddio è tesauriero dei larghi spenditori, ed è pur chiaro che la vertú e la fede ha con letizia vostra spinto il gran Guido al cielo.

Di Venezia, il 22 di maggio 1537.

CXXXIII

A MESSER IACOPO DEL GIALLO

1.0 ringrazia della miniatura fatta per le Stame per la Serena. Accenna alla propria competenza in pittura, e a un Breviario miniato dal Del Giallo pel Cardinal Ippolito de’ Medici, e da Paolo III donato a Carlo V. Io, dolce fratello, sono talmente rimasto stupido nel vedere la miniatura che la diligenza del saper vostro e l’amor che mi portate m’han fatto, ch’io non so dir parola per ciò, che non vi sia biasimo. Io non son cieco ne la pittura, anzi molte volte