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turchi, i quali fanno tomulto in mare e in terra, e, rinascendo, si lascia ficcar nel capo che guai a noi; e non si accorgono che il testimonio de la cesarea grandezza è lo sforzo che se le fa contra. Ma come gonfiarla la ciancia de le turbe aderenti con le chiacchiare a Francia, se io ci mescolassi le mie parole 1 Oh che rumore che ne farebbero 1 Per Dio, che gli sfacendati tengono le spie costi per sapere se mi si paga la pensione, per potere, non mi si pagando, lapidarmi con il rimprovero de l’affezzion ch’io porto a Carlo. Il qual, non si movendo ancora, simiglia un leone circundato dai cani, da Parme e dai pastori, che per propria generositá di natura sprezza gli spiedi e i dardi che se gli aventano, difendendosi solamente con il terror degli occhi. Ma, quando averá assai sofferto, sará il sopradetto, che, riparando i colpi, si volge con certi atti, che protestano come egli è provocato a ira, e poi si lancia a sbranare questo e quello con voci orribili. E cosi si finirá d’abattere la perversitá de l’invidia, che gli hanno i suoi aversari, per il favor che fa Iddio a l’opere santissime, che, armate e disarmate, partoriscono l’imprese de la sua religiosa boutade.

Di Venezia, il 21 di maggio 1537. CXXX 1 I A LA CONTESSA ARGENTINA RANGONA PALA VICINA La ringrazia dei suoi continui doni. Io, signora contessa, alzai iersera gli occhi a le stelle, e, perché mi venne cominciato anoverarle, mi diedi a ridere con esso meco, perché mi parve voler contare a uno a uno i presenti, che Vostra illustrissima Signoria mi ha fatti da che siete qui dove noi siamo. E, mentre io raccontava ad alcuni gentiluomini la baia, ecco un vostro servidore, che mi porta lo scatolino con una medaglia d’oro e vintiquattro puntali, simili a quegli che l’Eccellenza del conte suo marito mi portò l’altra volta che venne di Francia. Onde io, vagheggiandogli, dissi: