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perversitá con la pazienza, con la bontá, la quale adopro nel sentirmi laudare ancora. Ma, perché sappiate, Ambrogio infino a qui ha fatto maraviglie: or fa miracoli, e per un fanciullo è troppo il giudicio e lo stile dei suoi versi, dei quali ha sempre pieno il seno e le maniche, come fusse l’asino de le sue muse. Apresso, essendo la speranza un abito che sta bene al dosso d’ognuno, egli spera adempiere le sue voglie con una donna, ché si faria beffe di Narciso.

Di Venezia, il 16 di maggio 1537.

CXXIX

A LA SIGNORA VERONICA GAMBARA

Ringrazia delle lodi date a lui e a Lodovico Dolce. Io, eccellente contessa, piegava a punto il foglio per scrivere a l’imperadore, quando il messo vostro picchiò la mia porta; e, tosto ch’io viddi le lettre che mi indrizzavate, lasciai Sua Maestá, per dirvi come io l’ho ricevute e mandato le sue al Dolce. Il quale, per sentirsi lodare da colei che dá lo spirito a la laude, è divenuto geloso di se stesso, conoscendo quel che egli è nel mirabile sonetto, con cui l’onorate. E ha ben ragione di farlo, poiché voi, che séte la gloria istessa, l’essaltate. Io, per me, guardo le carte, che di tempo in tempo vi piace mandarmi, come le spose le gioie loro; e, quando voglio specchiarmi nei miei onori, leggole una o due volte e poi le ripongo. Io non so che piacere si abbiano gli avari del suono de l’oro, che essi annoverano: so ben che l’orecchie dei chiari spiriti non odono musica che piú gli aggradi de l’armonia che esce de la laude propria, pascendosi di ciò, si come in paradiso si pascono l’anime del conspetto di Dio. Noi ci solleviamo da terra, tuttavia che sentiamo glorificarci il nome, e usciam fuora del mortale, mentre si canta di lui. E perciò messer Lodovico Dolce e io andiamo al cielo nel sentirci mentovare da voi, perché ci fate participare, nel ragionar che fate di noi, de le divinitá