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e la letizia nel cor di tutti. E ognuno, scordatosi di se proprio, pensando al caso, piagneva, ramaricandosi che la sorte avesse senza proposito fatto morire cosi nobile e, sopra ogni secolo e memoria, eccellentissimo duce, in tanto principio di fatti sopraumani e nel maggior bisogno d’Italia. I capi, che con caritá e venerazione lo seguitavano, rimproverando a la Fortuna i danni loro e la temeritá sua, introducevano nei lamenti la sua etá a fatica matura, la quale era sufficiente in ciascuna impresa e d’ogni difficultá capace. Essi sospiravano la grandezza dei suoi pensieri e la ferocitá del suo valore. Né potevano raffrenar le voci nel ramentarsi con che domestichezza se gli era fatto compagno fin con l’abito, e, non tacendo l’acuta providenza del suo ingegno, né l’astuzia del suo animo, riscaldavano con il fuoco de le querele la neve, che smisuratamente fioccava, mentre in letiga si condusse a Mantova in casa del signor Luigi Gonzaga. Dove la sera medesima venne a visitarlo il duca d’Urbino, il quale l’amava, perché egli l’adorava, e l’osservava di sorte, che temeva fin di parlare in sua presenza; e di ciò era cagione il merito suo. Tosto che lo vidde, mostrò gran consolazione; ed egli, con sincero modo, vista la commoditá, disse: — Non basta Tesser voi chiaro e glorioso nel mestier de Tarmi, se non rilevate cotal vostro nome con la religione, sotto le cui osservanze siam nati. — Ed egli, inteso che si fatto parlare tendeva a la confessione, rispose: — Io, come in tutte le cose sempre feci il debito mio, bisognando, il farò anco in questo. — E cosi, partito lui, si mosse a ragionar meco, chiamando Lucantonio con estrema affezzione; e, dicendo io: — Noi mandaremo per lui, — Vuoi tu — disse — che un par suo lasci la guerra per vedere amalati? — Si ricordò del conte di San Secondo, dicendo: — Almen fusse egli qui, ché gli restarebbe il mio luogo. — Talvolta si grattava la testa con le dita; poi se le metteva in bocca, con dire: — Che sará? — replicando spesso: — Io non feci mai tristizia niuna. — Ma io, esortato dai medici, vado a lui, dicendogli: — Io farei ingiuria al vostro animo, se con parole dipinte volessi persuadervi che la morte sia la curatrice dei mali e piú paurosa che grave. Ma, perché è somma felicitá