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I Cesari e gli Alessandri fúr giá, e non son piú; anzi voi solo sareste quel che fúr lor due, se possedeste i lor domini e i lor tesori. Ma, se con si poco Stato fate doni si magnanimi, che fareste voi signoreggiando quanto meritarebbe di signoreggiare la generositá vostra, la quale è reina degli animi di tutti i principi? Il signor Tasso, il qual vi adora e il quale io amo quanto me stesso, mi ha il mercordi dopo Pasqua dato cento ducati di moneta, che pur alora gli diedero i mercatanti, a cui faceste indrizzar la lettra di cambio. E, mentre ne ho goduto per amor de la bontá salernitana, ho ringraziato Quella, che non pur m’ha donato, ma promesso donarmi d’anno in anno la somma, che mi è stata sborsata di contanti. Io ho acettato i danari presenti, come anco acetto i futuri, e ne ho il previlegio, avendone la parola di Vostra Signoria illustrissima, la quale, se indugia, non mente, come sa ciascun che ha provato la cortesia sua. Ora io, non perché mi vediate in ariento, ma perché vi venga voglia di vedervici, vi mando la mia imagine; né crediate che niun moderno lasci memoria de la sua testa di migliore stilo di Lione, ché cosi si chiama il giovane che l’ha fatta con si gran rilievo in acciaio. Egli desidera che in qualche bel conio appaia la maestá de l’effigie vostra e la maraviglia de l’arte sua^Si che comandisigli.

Di Venezia, il 9 di aprile 1537.

CXVI

A LA RKINA DI POLONIA

Invia un libro. lo, non giá per gratificarmi a la pietade che sempre aveste dei bisognosi, né per la pompa de la vertú, né per cupiditá di fama, ma perché Iddio mi spira, perché far lo debbo e perché è bene a farlo, mando il libro a voi che séte bona e ottima, a voi che séte degna e chiara, a voi che séte pia e giusta. O luce d’Italia, o speme de italiani, accttate le carte divote.