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dea; ed è empio chi non dice ch’io l’ho riposta nel suo antico stato. Ed, essendo il redentor di lei, che ciancia l’invidia e la plebe? Fratei mio, io non me ne vanto per superbia, ma per rispondere a qualunque afferma i miei vangeli per mal dire. Caminino pure i dotti per le strade che gli han fatte le mie sicure braccia, se voglion farsi beffe degli intrighi e de l’insidie signorili : poi si rivolghino a cantar di Dio, come mi son rivolto io, benché l’ho fatto con la sua grazia e non col mio ingegno. E sará tale il mio studio per l’avvenire, che, quando morrò, mi piangeranno fino a quegli che giá arrebber riso de la mia morte. Ora fra noi sia contratta perpetua amicizia, e la pena, che con tante calde parole volete ch’io vi dia per la incredulitá passata, sia la fratellanza ch’io vi dico.

Di Venezia, il 3 di aprile 1537.

CIX

\L SIGNOR LUIGI GONZAGA Lo ringrazia del dono di calze, di maniche e di camice. Accenna all’ingratitudine della Serena. Poich’io ebbi, padron caro, donate a un verace essempio di celeste onestá le calze cremisi e d’oro di precio di trenta scudi, che mi mandaste, e un paio di maniche di piú costo, d’oro e di seta, pur fatte con l’ago, dono de la contessa Argentina, cognata vostra, ecco le camisce lavorate gentilissimamente e le calze bianche e d’oro, le quali, per la commissione che le deste, mi fece pervenire in mano la signora Ginevra, moglie sua. E non fu possibile ch’io le ascondessi in maniera, che le donne di casa mia non me le rubbassero. E di ciò do la colpa a la lor grazia e al mio aver rivolto il core a colei che procurava tanto la mia morte quanto io i suoi onori. E beato voi tre e quattro volte, se vivete col pensiero disbrigato da quel furfantino d’Amore, nemico de le conclusioni e de la fedeltá. E, con questo, a Vostra Signoria illustrissima mi raccomando.

Di Venezia, il 3 di aprile 1437.