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E, ancora che la ragion non capisca dove la pertinacia de la incredulitá è ministra degli animi stampati da le prime impressioni, l’ottimo Castaldo, cavalieri senza menda, difenderá la mia causa. Oh Cristo! io, che, per non dare ombra a la servitú ch’io tengo con Sua Altezza, non ho consentito né per promesse né per doni salutar con venti versi Francia, arò giorneato con una Bibia per nonniente con altri? Ma, senza altri argomenti, nel veder tócchi i miei serenissimi signori, si deveria vergognare chi afferma ciò; perché, avendomi la smisurata grandezza de le libere leggi loro lasciato fare il seggio a la vita in questa alma e sola cittade, son dedicato al servigio di tutti. E, come sanno i buoni, questo giorno fornisce i dieci anni che io, ricovrato sotto il lembo de la clemenza veneziana, l’ho celebrata sempre. Ma non voglio, in giustificarmi, che cotanta sua libertá mi sia scudo. Io verrò, purché vi piaccia, costi ; entrarò in prigione e depositarommi a l’orator cesareo, il quale non si dee pentire d’avermi beneficato, perché i cimenti, in cui bramo d’esser posto, disgombrano i nuvoli de la malvagitá dal sole de la mia fede. Si che cancellisi la contumacia mia, purgata ne le sincere escusazioni. Vagliami il vero, che, semplice e innocente, mi detta ciocché io dico; e cangiate la mala volontá in buona, perché saria pur troppo insolente temeritá, se io fussi castigato degli altrui diffetti. E non ha ingegno chi pon mente a quanto mai dissi o scrissi, non si avedendo come io procedei tuttavia contra i viziosi con arguta riprensione e non con fredda maladicenza; che maladicenza pura è la sostanza di quello di che a gran torto me si dá carico. Né sará molto che cosi crederassi come io giuro che è.

Di Venezia, il 25 di marzo 1537.