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LXXXIX

A MONSIGNOR BEMBO

lx> prega che ottenga allo «scolaro lucchese» piú comoda prigione, nella quale possa piú agevolmente curarsi di una ferita, e allude all’ucci sione di Alessandro dei Medici e a Lorenzino. Egli bisognarebbe o che Vostra Signoria facesse scordare altrui de la dolcezza de la sua cortesia, o che io non avessi servitú con Quella; e cosi chi si move a ricercare il vostro favore per il mio mezzo non mi daria cagione di noiarvi con le righe di questa carta, con l’umiltá de la quale prego voi, che séte tanto pietoso e buono quanto gentile e famoso, che operiate si con il magnifico capitano di cotesta cittade, che per amor di Dio tempri in modo la giustizia con la misericordia, che i preghi nostri abbin luogo ne la nobiltá sua, onde lo scolare lucchese, di mortai maniera ferito, possa in piú agevol prigione farsi curar la piaga. Ché ben si dee usar la severitá de le leggi con meno asprezza che si puote sopra il capo degli errori de la gioventú, la qual non ha freno che la regga, e perciò trabocca spesso nel suo precipizio. Ma, perché io so che non vi lascereste vincer d’amorevolezza da un mio pari, non prolungai altrimenti le supplicazioni. Perciò basta, ché, ottenendo cotal grazia, me ne vantarò come cosa venuta da Dio. Io vi voleva scrivere con piú parole, ma il caso de l’infelice duca m’ha stordito e mi tiene in me il conforto, che mi porge (si aviene che meriti lode), il fatto che la generositá del sangue Medico ha dimostrato a Fiorenza che può farla serva c libera. Benché cotal sua libertade ha cominciato a intricarsi di sorte, che è diventata come una donzella che a poco a poco si lascia toccare il seno e metter sotto le mani, la quale a la fine si reca lá come altri vòle. E me vi raccomando riverentemente.

Di Venezia, il 13 di genaio 1537.