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piglia alquanto di lena, merita udienza, Quella si degnerá leggerle, e, leggendole, se nullo spirito d’ingegno ci sará, pongasi a conto del subietto.

Di Venezia, il 18 di decembre 1536.

LXXXIII

AL DUCA DI FIORENZA

Lo ringrazia del dono di 175 scudi ed è commosso per l’omaggio reso dal duca in Arezzo alla sua effigie posta in Palazzo, alla sua casa e a sua sorella. 1 venticinque e i cinquanta scudi, per comessione di Vostra Eccellenza mandati in Arezzo, e i cento,.che mi ha pagati il mio messer Francesco Lioni, mi fanno scordare i sette anni che mi pareva aver gittati con i due papi dei Medici. Ma, cancellando ogni sdegno, entro sotto il giogo che mi ha posto al collo la cortese dimostrazion vostra con piú affetto che mai. Io non posso ritener le lagrime, pensando al favore e a l’onore che per proprio reai costume vi sete degnato farmi ne la patria. Non meritava l’efiígie mia, posta da la benignitá degli arretini in Palazzo sopra l’uscio de la camera dove dormiste, che un principe di Fiorenza, un genero di Carlo imperadore, un nato di duca, un nipote di due pontefici la guardasse, e, guardando la dipinta, desse tante lodi a la viva. E, per piú accorarmi con la dolcezza de l’obligazione, fermossi la vostra alta persona dinanzi a la casa dove io nacqui, inchinandosi a la sorella mia con la riverenza con cui ella doveva inchinarvisi. Certo, l’umanitá d’Alessandro Medico ha vinto quella d’Alessandro macedonico, perché egli si arestò a la botte, sendoci Diogene, ma voi miraste il mio tugurio, benché io non ci fussi ; e son dote di natura e non simulazioni d’arte l’opere che voi fate. E perciò Iddio allontani da la Signoria Vostra illustrissima il pessimo talento de l’invidia e de la fraude; né lasci accostare a Quella il ferro né il veleno del tradimento, e sia la vita sua la salute de la nostra.

Di Venezia, il 18 di decembre 1536.