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LXXXII

AL MARCHESE DEL VASTO

Sí congratula della sua nomina a governatore di Milano, e gli invia le Stanze per la Serena. Io mi sarei rallegrato con Vostra Eccellenza del grado, nel quale ha posto Quella la gran bontá di Cesare e il senno valoroso del marchese del Vasto, se cotale onoranza non fusse stata vostra sempre, e, se pur d’altri, tuttavia guardata ed esscrcitata o dal consiglio o da la persona vostra, onde il generai bastone d’Augusto correggeva e guidava la sua milizia ne l’altrui mano con la vertu de la man vostra propria. Ora io mi rallegro bene de la felice riputazione in cui la providenza e il cor vostro ha poste l’armi imperiali. E per Dio, che ascolto i gesti del chiaro Alfonso d’Avolos con quel cor palpitante che, ardendo ne l’istesso desiderio, si move nel petto di colui che, dopo un lungo esilio, giunto a lo uscio de la paterna casa, ode la voce dei parenti; onde, preso da la tenerezza de la letizia, che, ricercategli tutte le secrete vie de le viscere, gli penetra ne Tossa, prova di che tempre sieno le dolcezze del sangue. Certamente TaflTetto, con il quale i grati uomini adorano i loro benefattori, passa d’assai quello con cui i giusti figliuoli amano gli ottimi padri. Ma chi non si moverebbe a lagrimar per affezzione, ne l’udire i proemi che fa la fama sopra i meriti de le vostre opere? E, se Cesare ripone in voi tutte le sue gloriose faccende, perché non debbe credersi dal mondo, giá vinto da la Maestá Sua, che siate un pegno di Dio e di piú nome che niuno che mai ai di nostri sia stato esaltato da la viva voce del grido publico? Io mando a Vostra Eccellenza alcune stanze, che in lode de la Serena, giovane castissima, castissimamente ho composto. E, se Apollo, quando Marte P. Aretino, Lettere - 1. 7