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si fusse alzato tanto alto. Non è termine ne la sommitá dei cieli, che non sia stato varcato dal nome suo; la cui effigie è rimasta nel core dei soldati suoi, i quali, carchi di spoglie e ornati di pregi, con la pazienza, con cui egli soportava le fatiche, hanno sofferta la sua morte; la quale a l’intrepido core d’un tanto capitano non è stata né spaventosa né grave, perché egli, uso a vederla e ne le battaglie e a tutte l’ore, non temeva i suoi terrori. Or parliam di me, che, perdendosi il mio ingegno nc lo spazio infinito de le sue lodi, non posso lodarlo; onde, per essere io sollevato dai suoi benefici, non ardisco a favellarne e mi vergogno a tacerne. Certo, io vorrei sculpire con la penna come le vertú sue non vidder mai cosa di si orrendo aspetto, che lo ritardasse da far quello ch’egli conobbe d’utile e d’onore. Vorrei anco ritrarre come l’insolenzia dei repentini casi mal non potè opprimerlo, si che si perturbasse. E non pur antividde ciocché fusse da seguire e da fuggire; ma, antivedendolo, né grandezza di fatica né orror di pericolo gli impedirono mai l’opra cominciata. Ed è noto che ne la militar disciplina non è parte difficile né impossibile, che egli non abbia adempita; e, sempre con una invitta prestanzia scacciando ogni viltá, rimosse da sé i nimici e le paure. Ma la sua providenza, tutta raccolta ne lo spirto proprio, ha tolta la palma a qualunche si fusse mai di pronte mani, d’audace animo e di robusta etá.

Di Venezia, il 15 di novembre 1536.

LXXX

AL CONTE GUIDO RANGONE

Si congratula con lui, anche in nome del Sansovino e di Tiziano, della sua nomina a generale delle armi francesi in Italia, gli presenta Girolamo Cernitolo e lo ringrazia del dono di cento scudi. Egli intraviene a Vostra gloriosa Eccellenza come intervenne, in suo grado, al famoso Lacoonte, la cui statua, riguardando forse il cielo per la maraviglia che in lei aveva impressa la vivacitá