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rassegna bibliografica 407

del Cristianesimo primitivo (1884), del Pfleiderer sul Cristianesimo primitivo (1887), dell’Harnack sulla Storia dei dogmi (seconda edizione 1888-1890), dell’Holtzmann e del Weiss sul Nuovo Testamento (1885-86), del Weizsäcker sull’età apostolica (2.a ediz. 1889), oltre alle indagini del Vischer sull’Apocalisse, del Gla e dell’Handmann sull’Evangelio degli Ebrei, dell’Harnack, dello Zahn e di molti altri sulla Dottrina dei dodici Apostoli scoperta dal 1883, per non parlare di altre ricerche più particolari, sono come il resultato di quasi un secolo di lavoro di critica storica, e mostrano ancora quale vitalità le resti ancora nelle scuole tedesche.

Tra i lavori recenti, degni di non sfuggire all’attenzione della critica italiana, sono i due libri che qui annunciamo.


I.


Il Manuale del Möller, dotto storico protestante, è il primo vulume di una vasta opera di Storia generale della Chiesa. Anche dopo il lavoro dell’Hase e dopo l’eccellente libro del Kurtz, che sempre più si è arricchito nelle rinnovate edizioni, non si poteva dire risoluto il problema di una esposizione in tutto soddisfacente del vasto soggetto, come è questa del M., pregevole del pari per lo studio diretto delle fonti e per l’esatte informazioni delle ricerche più recenti. Mentre in molti libri simili anche dei più autorevoli e accreditati, si consacra una piccola parte alla storia delle istituzioni, al processo per cui dalle primitive comunità si è svolta la centralità della Chiesa, uno dei pregi più rilevanti di questo è appunto la singolar cura con cui vi è trattata questa parte della storia ecclesiastica, sulla quale hanno sparsa tanta luce i lavori dell’Hatch e dell’Harnack. Il culto, l’ordinamento interno, la costituzione della chiesa vi sono studiate con la maggior diligenza. E tutta l’opera mostra una tale padronanza del soggetto, un tal rigore di metodo storico e di spirito scientifico, da segnare un vero progresso sugli altri lavori precedenti di simil genere, e sopratutto se si paragoni agli antichi lavori del Neander, del Gieseler e del Baur.

Questo rigore di metodo scientifico si scuopre maggiormente dove l’autore sarebbe condotto ad entrare in questioni critiche e storiche. Egli è persuaso che in un trattato scientifico non si debba accogliere se non quello che è accertato e generalmente riconosciuto, eliminandone tutto quello che è ancora ipotetico. Il qual canone critico, se può dar luogo a discussione nell’applicazione che se ne fa nei singoli casi dove si può dubitare se questa o quella sia una ipotesi divenuta certezza, è però necessario e fondamentale in una opera che vuole informare dei resultati più certi in un dato