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fra venezia e ravenna | 421 |
venticinque migliaia di sale, e più se più l’osse stato parche fosse buono e commerciabile.
Che i Ravennati sarebbero sicuri in Venezia ed in tutte le sue colonie, ed i Veneziani in Ravenna e nel suo territorio.
Che il Comune di Ravenna avrebbe conservato il diritto di esigere l’antico e consueto dazio sopra tutti i commestibili (eccetto il sale) che venivano a Ravenna per via di terra, avvertendosi che questo dazio avrebbe dovuto essere fissato dagli arbitri eletti a giudicare delle rappresaglie.
Che i Veneziani avrebbero potuto comperare mercanzie e vettovaglie in Ravenna, e senza dazio portarle a Venezia. Avrebbero poi potuto esportare grano insino a tanto che lo staio era venduto in Ravenna a dieci soldi; se il prezzo cresceva, il podestà ed il Comune di Ravenna, avrebbero avuto facoltà di far bandire che il grano non si potesse più esportare dalla città e dal territorio.
Che il Comune di Venezia si sarebbe obbligato a pagare ogni anno in Rialto al Comune di Ravenna quattromila e cento lire piccole di Venezia per quanto era contenuto in questi patti e specialmente per risarcimento del danno che il Comune di Ravenna avrebbe risentito per la perdita dei dazi sul sale e sulle altre merci, che per le acque di Ravenna e per il Po andavano in Lombardia. Ogni anno tale somma sarebbe pagata in due rate, a marzo ed a settembre.
Che sarebbero mantenute aperte le palafitte e le steccate fatte dai Veneziani lungo il canale di Capo d’Orzo e nelle altre acque di Ravenna, acciocché i Ravennati e gli altri navigatori potessero venire a Ravenna con le loro navi1.
Che gli abitatori della riva del Po, di Comacchio e del territorio di Ravenna avrebbero potuto andare e ve-
- ↑ Et salvo quod fenarola debeat stare clausa et .... sicut est amodo.