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338 necrologia

ceno venisse ai Romani sommesso. Di sì accomodate pruove roborò la sua proposizione, che la verità apparisce in tutta la sua lucentezza, e l’archeologo alemanno parve adagiarsi alla sentenza del fermano, senza che i vari antiquari nostrani eziandio gliene indirizzarono le più lusinghiere parole. Con quest’ultimo lavoro saria da credere avess’egli soddisfatto all’amore della città sua, e fors’altri sarebbesi chiamato pago dei riportati allori. Ma quando la carità della patria alberga in cuor gentile, mai non si posa, e sembra si rinfranchi nel più intentamente operare. Qual’è mai parte in Italia, che difetti delle sue degne ricordanze? Se più frequenti si trovassero dei letterati operosi, come il De Minicis, maggiore dovizia possederemmo di scritture intorno alle geste e agli avvenimenti dei padri nostri. Fermo insino dal secolo decimoquinto produsse il suo cronista in Antonio di Nicolò, il quale registrò i fatti della sua città dal 1176 al 1407. Cotale cronaca giacque inedita per infino all’anno trascorso, e starla tuttora sotto la polvere delle librerie, se Gaetano De Minicis col favore d’alcuni chiarissimi Fiorentini non l’avesse apparecchiata per le stampe, corredandola altresì d’opportunissime note, con riempiere i vuoti di quello scrittore, e con ampliarlo dov’egli piuttosto breve che no riusciva. Ma in che guisa mai tanta erudizione aveasi potuto acquistare? Nissuno se ne maravigli: avvegna che egli, aiutato dal fratel suo Rafaele, pure avvocato e colto, avesse ragunato meglio che tredicimila volumi d’opere rare e preziose in ogni facoltà, e in fra codeste una pregiata quantità di storie municipali, che desidereresti invano in qualunque copiosa biblioteca. Oltre a ciò ebbe raccolto diecimila monete tra ponderali, romane, greche, etrusche, di città autonome, di italiche, del medio evo, e di medaglie di personaggi celebri, e bronzi, avori, vasi fittili dipinti, specchi o dischi metallici etruschi, antichi marmi scritti, statue, bassirilievi e trecento sigilli in gran porzione medievali,