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rassegna bibliografica 291

calunnia da Pasquino e Marforio lanciata contro il trionfatore, ha il suo appiglio nella facilità dimostrata dal giovane discendente di Venere a trovarsi bene coi re, e nella sua imperatoria noncuranza degli scandali pubblici. Accanto al difetto ecco il pregio, pregio anche ne’ maturi anni raro: la fermezza del non voler abbandonare la seconda sua moglie, non curando nè il cenno e l’ira di Silla, nè i danni gravi, nè i pericoli perseguenti. E la ingiusta accanita persecuzione di Silla, la costui onnipotenza dell’ingiustizia, dimostrando le condizioni di Roma, è scusa alle prepotenze da Cesare ambite poi: le passioni del quale venivano in certa guisa legittimate dagli esempi de’ tristi da meno di lui trionfanti in uno stato oramai senza leggi. Che se Lucio Silla ebbe a dire che in Cesare son più Marii; questi poteva rispondere che un Cesare ne’ pregi valeva per Silla e Marii parecchi; ne’ torti un Silla o un Mario valere per Cesari molti; poteva rispondere che la parte de’ nobili era da Silla, prima e più che da Cesare, abbattuta, perchè resa abbondevole e vituperata. E Silla, col perseguitarlo, alla vita del cospiratore lo veniva allevando; di suo maestro nel male, si faceva suo balio; sospettando di lui, gli accresceva potenza; chiamando sovr’esso lo zelo e la compassione d’affini e d’amici, lo addestrava all’arte del conquistare a sè partigiani. E così dimostrando fede alla sua donna, parte per affetto di cuore e parte per ostinazione d’orgoglio e parte per sentimento della propria dignità, Cesare metteva alla prova la fede de’ suoi attenenti; nella perdita delle sostanze e nelle fughe non vili esercitava insieme la prudenza e il coraggio; e, facendosi tra le invidie strada anche coll’oro, imparava quanto potesse la larghezza co’ nemici e la generosità cogli amici. Se l’una prova lo tentava a spregiare gli uomini, l’altra lo ammaestrava ad amarli; e l’ima e l’altra contemperate, a guardarsi da taluno di loro, ma a confidarsi in altri; a non inorgoglire de’ buoni successi dovuti in parte all’opera altrui, a sentirne gratitudine e a significarla, per nobiltà d’animo e per civile previdenza, e perchè gli sconoscenti sono, tra tutti i superbi, da ultimo i più umiliati. Le giovanili sventure in lui educavano la costanza che d’ogni grandezza è indeclinabile condizione; gli consigliavano l’arte e del resistere e del cedere a tempo. La