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fra venezia e ravenna 23

E si promette di dare nello mani ai Veneziani entro sessanta giorni chiunque facesse correrie nelle loro terre obbligandolo a rifare doppiamente il danno; e se a questo non si fosse riusciti, si promettono cinquecento soldi d’oro pro una quaque Persona quae ipsam malitiam perpetraverit.

Si promette poscia di restituire ai Veneziani, ove si fossero potuti trovare, alcuni loro facinorosi cittadini, i quali s’erano rifuggiti nelle terre dell’impero dopo l’altro più antico patto fermato a Ravenna. Dichiarano poi i Veneziani che d’allora innanzi non avrebbero più comperati nè venduti deliberatamente (scientes) cristiani nelle terre dell’impero per farli schiavi o per toglierli ai loro padroni e darli nelle mani dei pagani, e che avrebbero rimandati tutti gli schiavi che fossero stati trovati nei loro dominii (in Ducatibus nostris); sarebbero sempre sicuri gli epistolarii, gli ambasciatori ed i corrieri; i sudditi dell’imperatore non aiuterebbero mai i nemici dei Veneziani, anzi avviserebbero questi di quanto potesse macchinarsi contro di loro; ai Veneziani sarebbero lasciati i confini stabiliti fra il doge Pauluccio e Liutprando re dei Longobardi: lasciato libero il commercio (salvo quello dei cavalli) pagando il ripatico ed il quadragesimo sia il 2 ½ per cento. Così promettono i Veneziani di proteggere con le loro navi le città imperiali dai popoli, cioè dai corsari di Schiavonia. Si stabilisce che il furto commesso fra le parti assoggettate a questo patto sia compensato col quadruplo, restituito il servo l’ancella fuggitiva con tutte le cose portate: abbia un certo premio il magistrato che fa la restituzione, una multa gravissima quello che la nega.

Sono mantenuti i pedaggi per la navigazione dei canali e dei fiumi, la quale del resto deve essere libera siccome quella del mare per i sudditi di Lotario. In certi casi l’omicida deve accordarsi co’ parenti dell’ucciso, in altri pagare trecento soldi, se questi era uomo libero, soli cinquanta se