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fra venezia e ravenna 11

una ambasceria per significargli l’amore che porta a lui ed alla famiglia sua, e lo prega a credere quanto gli ambasciatori medesimi gli direbbero a viva voce. Segue una lunga aggiunta: Embolum de protervia Leonis archiepiscopi, dalla quale si rileva che in questo frattempo l’arcivescovo ravennate era stato alla corte di Francia e tornatone più superbo e più ribelle di prima, tuttora si manteneva a viva forza (brachio forti) in Imola ed in Bologna, dicendo che queste città erano state date a lui e non già a San Pietro nè al papa, ed un conte da esso papa nominato a capo di una città avea condotto prigione in Ravenna1.

III. Poco sappiamo sopra questo Leone, giacchè, per mala ventura, della vita che ne scrisse l’Agnello rimangono soltanto pochi cenni. Giova però ricordare come alquanti anni prima, essendo egli ancora diacono, grande sconforto invase tutto il clero ravennate alla novella che papa Stefano reduce dal suo viaggio in Francia sarebbe passato per Ravenna, dicendo i preti fra loro: Costui viene per scrutare i tesori e per spogliare tutte le chiese. Erant Inter eos incommoda verba, dice lo storico, volendo significare nel suo barbaro latino che andavano maturando inique proposte. E tenuto consiglio, vari erano i pareri: gli uni dicevano: Non potremo salvar nulla, e gli altri: Bisognerebbe vedere come strozzarlo e soffocarlo. Allora levatosi questo Leone diacono e vicario dell’arcivescovo, così disse ai sacerdoti: Quando il papa romano avrà, cominciato a metter le mani nei tesori, chiamiamolo in disparte come per fargli vedere qualche cosa, ed allora precipitiamolo, affogherà nell’acqua e non comparirà più. Fu accettato l’iniquo consiglio, ed alcuni tenendola cosa per fatta, pensavano già come giustificarsi dalla colpa.

Ma riferite queste cose ad Enrico arcidiacono, corre all’arcivescovado: i sacerdoti sorpresi nel discutere tale

  1. Fant., Mon. Rav., Tom. V, N.° 18, Ex Cod. Carolino, Car. LI.