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di reggio di calabria | 81 |
«strazii quanto sapevano e non sapevano, ed ebber mozza la testa dal boja. Una gran quantità furono quali squartati, quali impiccati, quali fatti morir di stento nelle carceri dello Stato. Il Campanella, dopo aver sostenuto con indomito animo i più atroci tormenti, senza mai confessar cosa alcuna, fu condannato a perpetua prigionia.
«Fu chiusa allora in Cosenza la telesiana Accademia, e neramente perseguitati i dotti uomini, che seguaci delle ardite e nuove dottrine del Telesio e del Campanella, miravano a toglier la filosofia dalle astruse teorie (in cui avevanla avviluppala i seguaci d’Aristotile) per ricondurla a’ suoi veri principii. Laonde fu spento nella Calabria quel nobile fervore che eccitato aveva i nostri concittadini alla ricerca e meditazione della verità. I pubblici uffizi furono ricompensa a’ più ignoranti e malvagi; de’ quali il maggior merito era di aver fatto crescere ad un volume immenso le denunzie ed i processi.
«Io non mi tratterrò ad investigare quanto possano esser veri gli strani disegni che il Giannone imputa al Campanella. Dico solo che le sue asserzioni poggiano tutte sul processo, che veniva fatto a quegli sventurati sotto la terribile impressione della tortura, la quale faceva mentire egualmente e chi poteva e chi non poteva soffrirla; processo che la polizia spagnuola compilava fuori della giurisdizione ordinaria de’ Tribunali di Napoli. E poi il Giannone scriveva sotto la signoria spagnuola, e ciò basta. Ma che il dottissimo Botta, non contentandosi di copiare a verbo il Giannone, abbia altresì voluto far posare molte sue amare parole sulla memoria del Campanella, pervertendone i fatti e le intenzioni, ed aggravandone i carichi, questa è cosa che muove ad ira e dispetto. E chi lacerasse quella pagina della sua Storia d’Italia, ove si piace di travisare e disconoscere il vero, presterebbe un gran servigio alla dignità della storia, ed alla travagliata memoria del dottissimo frate calabrese.
«Il quale se fosse stato quel detestabile uomo che asseriscono il Giannone ed il Botta, io non so come fosse avvenuto che in luogo di mozzargli la testa, si fosse solo contentata la giustizia spagnuola di dannarlo a perpetuo carcere, e poi liberarlo dopo ventisette anni.
«Pesa sul Campanella la colpa di aver chiamato il Turco ad ajuto della sua meditata impresa; il che non è provato. E fosse pur vero; non furono forse i Turchi anteriormente chiamati in Italia da un re cristianissimo contro un re cattolico? Ed Hassan Cicala, ch’era già venuto in Reggio nel 1594, aveva forse bisogno dell’invito di un frate per tornarvi nel 1602? E non dice la storia quanto alla tentata rivoluzione abbia in occulto dato incentivo la Francia, la quale fu sempre collegata cogli Ottomanni a danno della casa di Spagna?
«Certo che nella estimazione delle cose umane è si errato il giudizio, che a chi riesce in un’impresa segue il nome di eroe, segue la fama e la gloria, quantunque il proemio dei suoi fatti sia stato un assassinio o un tradimento; a chi poi l’impresa va fallita, resta il nome di malfattore e di detestabile, resta l’infamia ed il patibolo, quantunque nessun malvagio proposito o misfatto ne abbia contaminata la vita. Conchiudiamo, che quando la prevenzione fa velo al giudizio, lo storico scende dal suo alto ministero, e diviene o accusatore, o avvocato.
«Allegrò il nostro Campanella la tristezza della dura e lunga prigionia col lavoro di dottissime opere filosofiche, che oggidì i più profondi pensatori