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di reggio di calabria 53

cino mare disseminati, dove aranceti e d’ogni guisa piante fruttifere, con 5,000 abit. — Amantea, città fortificata, 4,000 abit. — E Cetraro e Diamante, dove imbarcasi gran quantità vino; e Guardia, detta anche Guardia Lombarda, già colonia di Valdesi fuorusciti dal Piemonte; e San Demetrio, Lungro, Spezzano ec., stanze di Albanesi.

IX. Delle quali città se scrivere si potesse la storia, non inutile glossa, credasi, aggiungerebbesi al testo de’ patrii annali; non già per l’importanza della materia (che alle città calabresi, salvo le antiche, non concesse fortuna l’autonomia e il politico splendore delle toscane, o lombarde, o romagnuole), ma piuttosto per la poca notizia che se ne ha, e per l’intelligenza più compiuta che delle cose nostre domestiche acquisterebbesi.

È singolare che mentre fatiche pur tante e ricerche e studi sonosi fatti, in questi ultimi anni, intorno ad ogni parte, anzi intorno ad ogni latebra di storia italiana, pochissimo o nulla alla Calabria si sia atteso. Eppure non v’ha cronaca che forse più della sua diletterebbe, nè modo saria più acconcio a ringagliardire la bella attività de’ suoi abitanti, quanto il farli istrutti delle cose loro locali. Più che una cronologia di fatti la storia delle loro città sarebbe per essi un’opera di rigenerazione morale, un aumento di dignità, e un cotidiano ammaestramento scritto sulle tombe e fra le case de gli avi. Aiuterebbe ad apparecchiare o migliorare le vie della civile educazione, a comprendere le miserie presenti raffrontandole con le passate, a sostenere il coraggio pensando alla costanza dei padri, e negli affetti e ne’ ricordi del comune speculare quelli della nazione.

E poichè un popolo tanto più ha coscienza di sè quanto meglio conosce quel ch’ei fu e quel ch’è, diventa un offizio di pietà riassumergli la storia sua casalinga; molto più se da pochi fu raccontata, com’è quella de’ Calabresi. Della quale noi più d’una volta domandando ad alcuno il libro dove meglio studiarla, e non ce lo sapendo indicare, una penosa sensazione ci è scesa dentro all’animo, quasi fosse rotto per sempre il filo con cui riordirne la tela.

Onde un augusto concetto ci formavamo ( forse tirati dall’affezione della provincia natia ) di cotest’opera d’amore e di pazienza; parendoci che a disegnarla e colorirla per bene, non l’ingegno solo bastasse, ma gran parte dovesse pigliarvi l’affetto; l’affetto a cui nulla fatica sa troppa, nessun tema umile, quando alla terra natale s’ispira.