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LAV — 527 — LAZ


lore sbiadito: dilavato. || met. Di persona che non si commove a nulla: àpata. || Senza ornamento.

Lavatuna. accr. di lavata: lavatona.

Lavatura. s. f. Lavamento: lavatura. Il liquido dove si sia lavata alcuna cosa: lavatura. E dove si son lavati i piatti: rigovernatura. || La mercede che pagasi alla lavandaja. || Acqua dove s’è cotta la pasta, o dove sia infusa farina o crusca, che si dà a’ cavalli: beverone. || lavatura di ciaschi, vino adacquato, senza vigore.

Lavaturedda. dim. di lavatura.

Lavatureddu. dim. di lavaturi.

Lavaturi. s. m. Luogo dove si lava: lavatojo. || Pietra dove la lavandaja vi lava su. || a lavaturi, posto avv., a piano inclinato: a pendio, a china.

Lavina. s. f. Acqua che corre, non perenne, ma che manca o cresce secondo le piogge: fiumana, torrente. || Solco d’acqua che scorre: rio, ruscello. L’idea è tolta dalla voce lavina che in italiano vale: frana. E i Sienesi chiamano gavina la fogna per cui scorrono le acque piovane. || a lavina, di acqua o altro che corra in copia: a torrente, a sgorgo. || jittarisi o darisi la facci a la lavina, travagliare accanitamente.

Lavinareddu. dim. di lavinaru: torrentello, ruscelletto.

Lavinaru. V. lavina.

Lavizzu. s. m. Vaso per cuocervi dentro vivande: lavèggio.

Lavòrnia. s. m. T. zool. Uccello di rapina simile al nibbio: buzzardo di palude. Falco acruginosus L. || Fiaba, sproposito, fandonia: bomba, bùbbola.

Lavrùnchiu. V. giurana. (a Gangi).

Lavuramentu. s. m. Lavoro che si fa per coltivar la terra: lavoreccio. || Lavoro: lavorìo.

Lavuranteddu. dim. di lavuranti. || Per contadinetto.

Lavuranti. s. m. Chi lavora, garzon da bottega: lavorante. || Operajo che lavora presso alcuno o a giornata o altrimenti: lavorante. || Giorno di lavoro.

Lavuranti. add. Si dice dei giorni in cui si lavora a distinzione dei dì festivi: giorno lavorativo.

Lavurari. v. a. Operare manualmente e intellettualmente: lavorare. || Coltivar un campo: lavorare. || Rompere la terra coll’aratro, o colla zappa: lavorare, arare, zappare. || Aver efficacia e virtù di operare: lavorare. || Detto di liquore, cominciar a nuocere al cerebro, dar alla testa. || T. legn. Pulire o digrossare il legno colla pialla: piallare. Onde lavurari pri drittu: piallare pel diritto o pel suo verso. || lavurari a traversu: piallar a ritroso. || lavurari ’n sutta manu o sutt’acqua, operare nascostamente: lavorar sotto mano, lavorar sott’acqua. || Per traforare. P. pass. lavuratu: lavorato.

Lavurateddu. dim. di lavuratu.

Lavurativu. add. Atto ad esser lavorato, si dice di terreno: lavorativo. || Detto di cosa che produca il suo effetto: lavorativo.

Lavuratu. s. m. Terra lavorata: lavorato. || V. lavuratura.

Lavuratura. s. f. Lavorazione: lavoratura. || Lo arare, zappare ecc. la terra: lavoratura.

Lavuratureddu. V. griddutalpa. || dim. di lavuraturi.

Lavuraturi –tura. verb. Chi lavora: lavoratore –trice –tora. || Chi ara: aratore. || Prov. a bonu lavuraturi nun manca sirvizzu, a chi sa e vuole non manca lavoro.

Lavurazzu. pegg. di lavuru: lavoraccio. accr. di lavuri.

Lavureddu. dim. di lavuru: lavoretto, lavorino. || dim. di lavuri.

Lavureri. s. m. Chi lavora: lavoratore –trice. || V. lavurativu.

Lavuri. s. m. La biada seminata ancora in erba: seminato, s. || Prov. si lu lavuri si curca, lu patruni si susi, o quannu si curcanu li lavuri, spincinu la testa li massari, quando la spiga si ripiega vuol dire che è carica di molto grano: quando il grano ricasca, il contadino si rizza. || tri così boni voli lu lavuri: tempu, simenza e lu zappuliaturi: tre cose vuol il campo, buon lavoratore, buon seme, e buon tempo. || Per lavuru. V. || nun taliari nè erva nè lavuri, farne di tutte maniere, lasciarsi ire a tutto: abbacchiare le acerbe e le mature (Fanf. Voc. d. u. Tosc.).

Lavurniedda. dim. di lavornia.

Lavuru. s. m. Opera fatta, o da farsi o che si fa: lavoro. || Quello che si fa per lavorar la terra: lavoreccio, lavoro. || Per lavuri. V. || a tuttu lavuru, si dice di stoffa ricamata finamente a fiori o simile.

Lazzalora. V. azzalora di cui è protesi.

Lazzaratu. (Garsia) add. Martoriato. Dal Lazzaro della scrittura. V. allazzaratu.

Lazzarettu. s. m. Luogo dove si guardano gli uomini e le robe sospette di peste: lazzaretto (z dolce).

Lazzarinu. add. Detto d’uomo scaltro: accorto, assentito. (Gangi).

Lazzarittaru. s. m. Guardia di lazzaretto: lazzarettiero (Gigli).

Làzzaru, Lazzaruni. In Napoli si chiama così la gente più vile del volgo: lazzerone.

Lazzaruniari. v. intr. Far da lazzerone, far il cialtrone.

Lazzata. V. ciunna. || V. filazzata.

Lazzettu. dim. di lazzu: laccetto.

Lazzi-di-poviromu. s. m. T. bot. Pianta di radice tuberosa; foglie spadiformi; fiori porporini, picchiettati di giallo: iride detta bermudiana. Moraba sisyrinchium. L.

Lazziari. v. intr. Far lazzi o atti da muovere risa: lazzeggiare (z dolce).

Lattiteddu, Lazzitteddu. dim. di lazzu: laccetto, lacciuolo.

Lazzittinu. dim. di lazzettu: laccettino, lacciuoletto.

Lazzolu. s. m. Legame a foggia di cappio che si stringe toccato, serve a pigliar uccelli: laccio, lacciuolo. || met. Trappola, insidia qualunque: lacciuolo.

Lazzu. (z duro) s. m. Piccola fune, corda per uso di legare ecc.: laccio, cordellina. || Qualunque cosa con che legar calza, scarpe ecc. legàcciolo. || – di li causi, nastro o altro con cui si legano le brache: usoliere, becca. || –