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CUN — 277 — CUP

testa ad unu, metter altrui il cervello a partito: conciar la testa ad alcuno. || T. chir. Rimetter in sesto le ossa slogate o rotte o i muscoli spostati: racconciare, rassettare. || cunzàrisi, passarsi nella pelle belletto o altro: imbellettarsi, lisciarsi. || Divenir meno brutto: rifarsi, rabbellirsi. || cunzarisi lu tempu, non piover più: rasserenarsi, racconciarsi. || pigghia ’na petra e conzala; prov. che esprime come gl’ingredienti son quelli che fanno assai. || prov. mai si conza si nun si guasta, non si può far del bene senza che non vi siano patimenti e mali. || – lu lettu, abbassarne le materasse, e acconciarne le lenzuola, insomma prepararlo per dormirvi: acconciare, fare o rifar il letto (Car. Voc. Met.). || – lu capizzu ad unu, fargli la spia, o comprometterlo altrimenti co’ superiori: far le scarpe a uno. || Divenire men brutto: acconciarsi, raffazzonarsi, imbellire. || si nun si rumpi nun si conza, dice chi voglia farla finita. || o si conza o si sburdi cchiù, si dice risolutivamente di cosa che si debba metter a pericolo o di ridurla o di guastarla del tutto: o guasto o fatto. P. pass. cunzatu: acconciato ecc.

Cunzarìa. s. f. Luogo dove si conciano le pelli: concerìa. || Luogo o strada ove si vendon le pelli: pelliccerìa.

Cunzariotu. s. m. Colui che concia le pelli: conciatore, pelacane. || Colui che vende i cuoi conci: cuojajo, cojaro.

Cunzarru. s. m. Mucchio o massa di pietre: petraja. || Rupe scoscesa: balza.

Cunzata. s. f. L’azione dell’acconciare: acconciata, conciata.

Cunzatedda. s. f. dim. di cunzata: acconciatina.

Cunzateddu. dim. e vezz. di cunzatu.

Cunzatina. V. cunzata.

Cunzatizzu. add. Mezzo racconciato: rappezzato, rabberciato.

Cunzatura. s. f. Acconciamento: conciatura. || T. legn. Ripulitura di mobili.

Cunzaturi –tura. verb. Chi o che acconcia, o concia: acconciatore –trice, conciatore –trice.

Cunzia odorata. s. f. T. bot. Pianta che ha radici tortuose, serpeggianti, nere; foglie larghe carenate, acute, non ad ombrella: cunzia. Cyperus longus L.

Cunziera. s. f. Vaso dove s’adatta la cunzia per far odore: cunziera.

Cuòciri. V. cociri.

Cupari. (Pasq. e Mal.) V. ammucciari.

Cupeddu. V. cuppella.

Cuperchiu e derivati. V. cuverchiu.

Cupìa. V. occhi di cupìa.

Cupiari. v. a. Trascrivere, rescrivere: copiare. || Dicesi de’ pittori, scultori ecc., quando non inventano, ma hanno un originale avanti: copiare. || Qualunque imitazione si faccia: copiare. P. pass. cupiatu: copiato.

Cupiata. s. f. L’azione del copiare: copiata (V. participiu).

Cupiatedda. dim. di cupiata.

Cupiatina, Cupiatura. s. f. L’atto e il risultamento del copiare: copiatura.

Cupiaturi –tura. verb. Chi o che copia, in tutti i significati: copiatore –trice.

Cupiazza. s. f. pegg. di copia: copiaccia.

Cupidiggia. s. f. Cupidità di averi e d’onori che si manifesta più sovente negli atti: cupidigia.

Cùpidu. add. Sfrenatamente desideroso: cupido (Mort.).

Cupiedda. s. f. dim. di copia: copietta.

Cupigghiuni. s. m. Cassetta da pecchie, arnia: copiglio, coviglio.

Cupioni. V. copia. Così in Catania. || nun cci putiri pigghiari cupioni, di uno o di una cosa di cui non si conosca l’umore, la struttura, o il sentimento: non ci si potere raccapezzare, non se ne poter cavare costrutto.

Cupirtizzu. V. cuvirtizzu.

Cupirtura. V. cuvirtura.

Cupista. s. m. Colui che copia scritture: copista.

Cupistarìa. s. f. Officina dove si copiano scritture: copisteria.

Cupiuni. s. m. T. teat. Il cartolare di tutta la compagnia teatrale, da dove si estraggono le parti pe’ singoli attori.

Cupiusu. V. copiusu.

Cuppedda. s. f. dim. Dicon i costruttori di navi il regalo che loro fa il capitano della nuova nave.

Cuppella. s. f. Vaso fatto di cenere di corna per cimentarvi l’argento: coppella. || argentu, oru di cuppella, affinato: argento, oro di coppella. E met. ad altre cose eccellenti nel loro genere: di coppella.

Cupperi. s. m. Colui che serve di coppa, cioè reca le bevande: coppiere.

Cuppetta. s. f. Vasetto di vetro che si applica per via di fuoco alle carni per tirar il sangue alla pelle: coppella. || Se basta la sola applicazione e non si cava sangue; cuppetti a siccu; se la carne alza e si taglia per cavarne sangue; cuppetti a sangu: coppelle a taglio, o scarificate.

Cuppïari. v. a. Prender con lusinghe o con insidie, presa la sim. da coppu, reticella per uccellare: irretire, affatappiare. || Cercar tutti i modi di guadagnarsi l’affetto altrui: aggraduirsi, aggraziarsi. P. pass. cuppiatu: irretito. || Aggraduito.

Cuppicedda. s. f. dim. di coppa: piccolo braciere.

Cuppiceddu. V. cuppiteddu.

Cuppietta. s. f. dim. di coppia: coppietta.

Cuppinata. s. f. Quanto cape un romajuolo: romajuolata.

Cuppineddu. s. m. dim. di cuppinu: romajuolino.

Cuppinu. s. m. Strumento di ferro o altro da cucina, fatto a guisa di mezza palla vuota, con manico lungo e sottile: romajuolo, romajolo. || Mestola: cazza. || Arnese di latta, tondo, alquanto concavo, con manico, che nel misurar l’olio, si tiene sotto la misura onde non ne vada a terra: piatta (Pal. Voc. Met.).

Cuppitedda. V. cuppicedda.

Cuppiteddu. dim. di coppu: cartoccino. || – di li vermi, elettuario pe’ bambini che patiscono bachi. || – di scantu, medicina che si dà a chi abbia sofferto spavento.

Cuppularu. s. m. Facitor di berrette: berrettajo.

Cuppuletta. s. f. Berretta piccola che usano i preti sulla cherica: papalina, calotta, zuccolino (a Firenze).

Cuppulìcchia. V. cuppulidda. || – bianca. T. zool. Patella color di latte. Patella lactea Biv.