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Anno di Cristo CLXXIII. Indizione XI.
ELEUTERIO papa 3.
MARCO AURELIO imperad. 13.

Consoli

MARCO AURELIO SEVERO per la seconda volta e TIBERIO CLAUDIO POMPEJANO.

Il secondo console, cioè POMPEJANO, non è già il genero di Marco Aurelio, siccome colla sua consueta accuratezza osservò l’incomparabile Noris1288. Non gli ho io dato il pronome di Tito, come fan gli altri, perchè in un’iscrizione dal Doni e da me riferita1289, il veggo chiamato TIBERIO, con pronome più usitato dalla famiglia Claudia. Le medaglie1290 ancora di quest’anno parlano della Vittoria Germanica e della Germania soggiogata, e nominato Germanico Augusto l’imperator Marco Aurelio; ma senza ch’egli porti altro titolo che d’Imperadore per la sesta volta, com’egli era chiamato negli anni addietro. Non è improbabile, che in questo verno succedesse la vittoria che, per attestato di Dione1291, riportarono i Romani, combattendo coi popoli Jazigi sul Danubio agghiacciato, con far di molte prodezze. Fors’anche potrebbe appartenere all’anno presente ciò che narra Vulcazio Gallicano nella vita di Avidio Cassio1292. Voleva costui essere rigidissimo custode della disciplina militare, e si pregiava di essere chiamato un altro Marco. Di tal sua severità, che più convenevolmente si dovea chiamare crudeltà, molti esempli si raccontavano. Fra gli altri uno è il seguente. Comandava egli un corpo dell’armata cesarea alle rive del Danubio. Avendo un dì alcuni de’ suoi capitani adocchiato di là dal fiume una brigata di tremila Sarmati, che non faceano buona guardia, senza che nè Cassio nè i tribuni lo sapessero, con poca gente passarono improvvisamente il fiume, diedero loro addosso e li disfecero, con far anche un riguardevol bottino. Ritornati al campo que’ centurioni, tutti lieti andarono a presentarsi a Cassio, sperando un bel premio per l’impresa felicemente riuscita. Il premio fu, che egli fece immantinnente giustiziar tutti, e col gastigo degli schiavi (rigore senza esempio), cioè colla croce, dicendo che si sarebbe potuto dare che i Barbari avessero finta quella negligenza per tirare alla trappola i Romani, e che non s’avea a mettere così a repentaglio la riputazion del romano imperio. E perciocchè a cagion di questa sì rigorosa giustizia l’esercito suo si mosse a sedizione, saltò Cassio fuor della tenda in soli calzoni, gridando: Ammazzate me, se avete tanto andire, ed aggiugnete questo delitto all’altro della disciplina da voi trasgredita. Questo suo non temere fu cagione che i soldati temessero daddovero, e si quetassero. Ma divolgata una sì fatta azione, mise tal terrore ne’ Barbari, che spedirono a Marco Aurelio, lontano allora da quelle contrade, supplicandolo di dar loro la pace per cento anni avvenire. Al rovescio di Cassio era esso imperadore tutto amorevolezza e bontà verso de’ soldati, e ben li trattava; ma non volea già che dessero la legge a lui1293. Dopo una sanguinosa battaglia, riuscita felice all’armi romane, gli dimandarono i soldati paga doppia o altro donativo. Nulla volle dar loro con dire, che il di più del solito che avesse dato, bisognava cavarlo dal sangue de’ loro parenti, e ch’egli ne avrebbe renduto conto a Dio. Nè cessava l’infaticabil Augusto, sbrigato ch’era dalle faccende militari, di ascoltare e decidere le cause e liti occorrenti. Si trovava egli nella città di Sirmio, sua ordinaria residenza durante questa guerra; benchè Paolo Orosio1294 scriva ch’egli per tre anni si fermò a Carnunto, città vicina a Vienna d’oggidì, quando arrivò