Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/356

342 alle porte d'italia

qallerino un lungo bacio sulla bocca; e centinaia di ragazze degli opifici, con gli occhi lustri e antiche facce di nonni, ch’eran forse calati dai loro villaggi per l’ultima volta. Non aspettarono che passasse le prima compagnia: scoppiarono all’apparire dei zappatori. Pareva che non li avessero più visti da anni. Urlavano e ridevano, agitavan le braccia, chiamavano i soldati per nome, si cacciavano in mezzo ai plotoni, volevano romper le file. Gli altri spettatori, commossi, non applaudivano più. La signora inglese inumidì le frange del suo ventaglio. Essa credeva che quell’espansione affettuosa fosse l’effetto di una lunga separazione. Ma il Rogelli la disingannò. Si vedevan molto sovente, anche troppo. Era il lato debole degli Alpini quello di passar troppo spesso vicino a casa. Si poteva dire che le uniche mancanze loro erano gli scappamenti. Innamorati del loro angolo di mondo, come tutti i montanari, quando vedono di lontano il campanile del villaggio, sono affascinati: sanno quello che li aspetta dopo la scappata, non monta; svignano che il diavolo li porta, e ritornano poi col capo basso e col viso lungo, rassegnati al castigo previsto, che scontano senza rifiatare, ruminando i lieti ricordi; e se qualche cosa li trattiene talvolta, non è il timor del castigo, è il terrore d’esser ripescati a casa dall’arma benemerita, e di farsi vedere nella propria valle in mezzo ai cappelli a due punte. — Poveri uccelli di montagna! — esclamò il Rogelli. — Bisogna vederli poi l’inverno nelle città grandi, dove non han mai messo piede, che altra gente diventano, come