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32 vittorio alfieri


Chi fu, chi fu cagion de’ dolci lutti?
Casi acerbi d’amor forse leggesti?
Ride Cupido allor di quella altera;
E dice a me: scrivi d’amore, e spera.

Spero, sì, spero di ritrarre in carte
Quel che avvampar mi sento ardor nel seno:
Spero sull’aureo letto anch’io far parte
De’ tanti libri onde è coperto appieno;
Spero raccor le lagrimette sparte,
E far forza al bel ciglio almo sereno...
E forse, un dì pentita, anco dirai,
D’amor leggendo: ahi lassa! io non amai.


LII.

STANZE.

O dolce mio pensier, sola mia cura,
Per cui soffrire ogni più rio tormento,
E perfin morte io stimerei ventura;
Per cui più grato ho il sospirare al vento,
Che ad altra in braccio l’amorosa arsura
Temprar, qual suole ogni amator contento:
Deh! tu pietosa ascolta i detti miei.
Sallo Amor, se sian veri, e il san gli Dei.

Il mio temer per te, donna, a te spiace?
Ma, poss’io, non temendo, amar davvero?
«A tutte voglie d’un vecchio rapace»
Inquïeto villan maligno e fero,
Candidetta colomba esposta giace,
Nè da sue inique man ritrarla io spero:
Tale è pur troppo il tuo dolente stato;
Degg’io vederlo, e non parer turbato?

Fresca vermiglia mattutina rosa,
Dal suo cespo felice or dianzi tolta,
Che l’aria fa di se tutta odorosa,
E beata la mano che l’ha colta;
Chi può non pianger, nel vederla ascosa
Entro a rio lezzo fetido sepolta?
Chi può veder così d’amore il regno
Sconvolto tutto, e rattener suo sdegno?