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232 vittorio alfieri


I brevi detti orribili ogni senso
Paion tosto aver tolto alla donzella:
Voci di pianto ed un gemito intenso
Fan di altissima téma fede in ella.
Vedendo il prence al suo desir propenso
Giungere il punto, con audacia fella
D’un lieve salto in sul verone ei balza:
Ella dentro ritrassi; egli la incalza.

Calcato appena egli ha la soglia interna,
Che quasi lampo la donzella spare.
Stridula spranga il veron serra e imperna:
Nè raggio omai di stella ivi entro appare
Più che nella profonda grotta inferna.
Ecco, incomincia Alessandro a tremare;
Non sa che farsi; e non ch’ei gridi o muova,
Nè pur respira; e sta come ei si trova.

Non creda alcun che la donzella fosse
Bianca, qual parve all’amator suo rio;
L’alta Dea, che dal sonno dianzi scosse
Lorenzo ad obbedirla non restío,
Or dall’etereo polo anco si mosse;
E di sua mano ella il balcone aprío:
E il crine e il volto e i panni e gli andamenti
Di Bianca assunse, e ne imitò i lamenti.

La nobil Diva che ogni cosa estolle,
All’atto vil, che d’onestà la scorza
Parea macchiar, Bianca ivi trar non volle:
Chè la donzella al cor gentil far forza
Troppa dovuta avría nel parer molle
Verso un infame che a tremar la sforza.
E Libertà benchè ad inganni astretta,
Non vuol che a rischio mai l’onor si metta.

Quindi ella agli occhi del tiranno appena
S’è dileguata, che in sua propria forma
Venuta è dove il pianto mal si affrena,
Dove tre cuori un sol dolore informa.
Al lampeggiar (qual in notturna scena)
Della gran donna che a Lorenzo è norma,
Ben è mestier ch’alto terror percuota
Bianca e la madre a cui la Diva è ignota.