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198 vittorio alfieri


Dell’infallibil suo pastore il fallo
Ecco scontar dall’innocente gregge,
A cui schermo non fa muro nè vallo:
Ecco già l’armi ed il furor dar legge
A Roma vinta; e dal papal suo stallo
Fuggirsen quei che i principi corregge;
Dai merli poi dell’Adriana mole
Contro il nemico fulminar parole.

Son questi, sì, questi i trionfi sono
Dei veritieri successor di Cristo,
A cui lasciò di pazïenza il dono
Onde fer poi lo smisurato acquisto.
Qui d’ogni speme il Papa in abbandono
Sottrarsi vuol dal contestabil tristo:
Ve’ della rôcca ei fugge in vesti abbiette,
Come il figliuol di Dio da Nazarette.

Passa poi la tempesta: e dileguato
Il fiero nembo, di sovrana luce
Vedi brillar Clemente in manto aurato.
Già in lui la prisca maestà riluce,
Già di folgori sacre ha il braccio armato:
E sa s’ei fera de’ Britanni il duce,
L’ottavo Arrigo, ch’ei dal cielo esclude
E co’ suoi danna all’infernal palude.

Qui ’l vedi alfin con quella man, che morte
All’Anglo re portò, ventura e vita
Recare al Franco; a cui manda in consorte
La Medícea nepote, un dì sortita
Le infette Gallie a governar da forte;
Or d’indulgenze pria l’ha ben munita,
E d’italici providi consigli,
Per cui non vengan manco al re mai figli.

Ma omai di campion santi e di guerrieri,
Stanchi i pennelli son, stanche le viste.
Ecco d’alte madonne i dolci imperi
L’alte virtudi a leggiadria commiste,
Crear novelli in noi d’amor pensieri:
Come alloro immortal donna s’acquiste,
Altro pittor qui dottamente insegna
Nel far delle Medícee rassegna.