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126 vittorio alfieri


CXCVI.

Oh stolta in ver mia giovenil baldanza,
Che acciecata la mente un tempo m’ebbe!
Error, che a molti innanzi a me già increbbe;
Credersi in Pindo aver secura stanza.

Deh, quanto ancor dell’aspra via m’avanza
Che a corre il vero alloro guidar debbe!
Aspra più all’uom, quanto in più fama ei crebbe,
Caldo il cor di tenace alta costanza.

Ben non so s’io di Cirra ebro, o d’orgoglio,
Fossi il dì che stampai tragici carmi,
Di cui più ch’altri io stesso, e invan, mi doglio:

Ma immaturi eran certo: onde a scolparmi,
Sudo or sovr’essi; e o dargli il fuoco io voglio,
O trargli a tal d’esser scolpiti in marmi.

CXCVII (1787).

Madre diletta mia, deh! non ti piaccia
Di maggior pianto omai gravarmi il ciglio,
Col darmi ingiusta incomportabil taccia
Di sconoscente, o d’insensibil figlio.

Spesso, se avvien che a te mie nuove io taccia,
Il non poterti io dir, che al scelto esiglio
Sto per dar fine, e che a te riedo, allaccia
Mia penna; e fa, che al nulla dir mi appiglio.

Squarciato il cor da più saette io porto:
Amor mi sforza, e libertà più ancora,
Ad afferrar di qua dall’Alpi un porto:

Di là mi chiama in flebil voce ognora
L’orba vecchiezza tua, cui sol conforto
Il riveder l’unico figlio or fora.