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74 alceste prima
la Cittá il vede. Ma i di lei sublimi

privati fatti, e detti estremi, ascolta
maravigliando. — Ella, il fatal suo giorno
tosto che vedea sorgere, nell’acque
del puro fiume il bel candido corpo
lavava; e quindi adornamenti e vesti
fuor delle prezíose arche traendo,1
con bel decoro sen fregiava. All’are
innanzi poscia standosi, esclamava:
«O Dea d’Averno e mia, poich’ivi scendo,
«l’ultima volta ch’io quí mi ti prostro,
«supplicherotti, o Dea, che protettrice
«sovrana tu degli orfani miei figli,
«l’un poi di sposa, e di marito l’altra,
«lieti tu renda; e non, come lor madre,
«vittime cadan d’immatura morte;
«ma nel patrio lor suol gioconda vita
«compian felici.» — E a quanti eran gli altari
nella reggia d’Adméto, a tutti e preci
ella recava, e di sfrondati mirti
corone sacre: né ululati mai
mandava ella, né gemiti; né il bel volto
pur scolorava pel futuro danno.
Quindi alla stanza maritale, e al letto,
correndo, al pianto ivi dá sfogo; e dice:
«O letto, in cui giá il fior virgineo mio
«donava a tal, cui la mia vita or dono;
«letto, addio: te non odio; eppur me sola
«perduta hai tu: per te, pel fido sposo,
«muojomi: e te possederá qualch’altra,
«piú fedel no, ma piú felice moglie
«forse di me.» — Cosí dicendo, il letto
stesa all’ingiú baciava, e l’inondava
di un mar di pianto. Alfin, del pianger lungo


  1. Dice il Testo: Dalle arche di cedro.