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56 antonio e cleopatra



SCENA QUINTA

Augusto, Settimmio, Cleopatra, Ismene,

Antonio, Diomede.

Augus. M’ingannò la regina, o fu ingannata.

Anton. Vieni, orgoglioso vincitor superbo,
del tuo valor vieni a raccorre il frutto;
che il trionfo di te soltanto è degno.
Io non vivrò, se non che brevi istanti,
e quanto basti ad ostentare al mondo,
e il cuor d’Antonio, e la viltá d’Augusto.
Sorte, a virtude in questo dí ribella,
ti diè vittoria, è ver, ma non ti diede
l’alma Romana, a sostenerne il merto.
Le vicende dell’armi, a me funeste,
t’han posto in alto dell’instabil rota,
e lá ti mostri generoso, e pio,
qual benefico Nume al volgo ignaro,
ch’ai tiranni felici arride ognora...
Men parzial della sorte, e piú propizia,
qual sia l’eroe di noi, morte lo dica.
Tu l’apprestavi a me, bassa, ed infame;
or per ultimo dono, il ciel piú grato,
libera, invitta me l’accorda, e degna.
Non mi spaventa, no, l’orrida morte;
la vidi spesso, e non rivolsi il ciglio;
l’alma avvezzai a disprezzarla ognora;
fuggí da me, né mai fuggir mi vide,
ed or l’affronto. O dolce morte! o cara!
Qualor mi togli a reo servaggio indegno,
non sei tu d’ogni bene il primo, e il solo?
Qualor degli avi non oscuri i fasti,
e la d’eroi feconda inclita terra,
che mi fu patria, e a me non sará tomba,
non cancelli ogni error commesso in vita?