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atto secondo 13
e invano omai ricerco in me l’eroe.

Incrudelisci, impera; il reo consiglio
che mi mosse a seguir l’amante infida,
fu dei furori tuoi bastante segno,
come del mio servir... ma chi s’appressa?
* In ogni volto un traditor ravviso
* in questa iniqua corte. Il sol Diomede
sará fedel fra tanti. È desso appunto.


SCENA SECONDA

Antonio, Diomede.

Anton. Diomede, il tuo signor!

Diom.   Antonio! e come
tu nell’Egitto, e tu fra queste mura?
Come approdasti al Nilo? e qual fu il Nume,
* che celò l’alta preda al reo nemico,
* ed oggi a noi inaspettato porta
* l’illustre difensor?
Anton.   E allor che giungo
* tradito, solo, inonorato, e inerme,
vuoi, che mi porti il cielo? ah! di’ piuttosto,
che fu la trama nel tartareo speco
* ordita, lá nel sen di Furie ultrici,
che, scemandomi il cor, m’hanno in quest’oggi
per supplizio crudel serbato a vita.
Il crederesti? Antonio ancor respira,
solo perché fu vile: il picciol legno,
a cui volli affidar, pur troppo incauto,
me stesso, e la mia fama, erasi appena
dall’audaci mie schiere allontanato,
per inseguir le traditrici vele,
quando assalito da maggior nemico,
solo a fuggir, non a pugnare intento,
e ad ambo inetto, ad onta mia soggiacque: