Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/76

70 agide
qual Cleómbroto re pur dianzi eletto:

e il popol stesso alla custodia or sola
di un asilo abbandona il giá sí amato
Agide, il riverito idolo suo.
Anfar. Piú custodito è dalle leggi assai,
che da questo suo asilo. Ei delle leggi
sovvertitore, annullator, pur debbe
ad esse e a noi la sua salvezza. E a noi
efori veri, a Sparta tutta innanzi,
ei dará di se conto: ove non reo
vaglia a chiarirsi, ei non del re, né d’altri
temer de’ mai.
Leon.   S’egli in suo cor se stesso
reo non stimasse, a che l’asilo? al giusto
giudizio aperto popolar me pria
perché non trarre?
Agesis.   Perché d’armi e d’oro
tu ti fai scudo, ei di virtude ignuda:
perché tu pieno di vendetta riedi,
ed ei neppure la conosce: in somma,
perché i tuoi, non di Sparta, efori nuovi
suonan ben altro, che terror di leggi.
Nulla paventa Agide mio; ma torsi
vuol dalla infamia; e darla, ancor che breve,
altrui può sempre chi il poter si usurpa.
Leon. Che fará dunque Agide tuo? piú a lungo
racchiuso starsi omai non può, s’ei teme
la infamia vera.
Anfar.   E molto men può Sparta
nelle presenti sue strane vicende
d’un de’ suoi re star priva. Agide il nome
tuttor ne serba; e il necessario incarco
pur non ne adempie: mal sicura intanto
e dentro e fuori è la cittá; sossopra
gli ordini tutti; e manca...
Agesis.   Agide manca;