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68 agide
in apparenza io vissi. Avriami ucciso

il duol, se in un coll’usurpato seggio
restituita la innocenza mia
non m’era appieno da un miglior consiglio
di Sparta istessa. Il mio rival cacciato,
quel Cleómbroto iniquo, a chi il mio scettro
signor del tutto allora Agide dava,
giá mie discolpe ei fece. A far le sue,
che tarda Agide piú? Collega ei fummi
sul trono; ancor mi è genero; e nemico
mi sia, se il vuole. — Ma, cagion qual altra,
che il suo fallir, chiuso or nel tempio il tiene?
Agesis. A Sparta, e a me, Leonida, sei noto:
quai sieno i tuoi, quai sien d’Agide i falli,
è brevissimo a dirsi. Agide volle
libera Sparta; i cittadini uguali,
forti, arditi, terribili; Spartani
in somma: e a nullo sovrastare ei volle,
che in ardire e in virtude. In ozio vile,
ricca, serva, divisa, imbelle, quale
appunto ell’è, Leonida la volle.
Falli son l’opre d’Agide, perch’havvi
copia di rei, piú che di buoni, in Sparta:
di Leonida l’opre or son virtudi,
perch’elle son dei tempi. Oggi rimembra
tu almen, se il puoi, che il mio figliuol mostrossi
nemico aperto del regnar tuo solo,
non di te mai; ch’or non vivresti, pensa,
se cittadino ei piú che re, tua vita
non ti serbava, ed in suo danno forse.
Leon. Vero è; nel dí, che il tuo crudo fratello
a trucidarmi gli assassin suoi vili
mandava, Agide, forse a tuo dispetto,
per altri suoi satelliti mi fea
vivo e illeso serbar: ma un re sbandito,
cui l’onor, l’innocenza, il soglio tolto